L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Polvere e luce

di Luigi Raso

Nino Machaidze, protagonista della Traviata a Salerno, illumina un allestimento (a firma di Massimo Gasparon per regia e costumi, Alfredo Troisi per le scene) improntato a una tradizione senza particolare cura per recitazione e drammaturgia, con una concertazione (di Pier Giorgio Morandi) solida e senza sorprese.

Salerno, 15 dicembre 2021 - Non poteva che essere La traviata a segnare il ritorno dell’opera all’interno del Teatro Verdi di Salerno: dopo il silenzio imposto dalle fasi più acute del Covid, gli spettacoli trasmessi in streaming, quelli estivi nell’area del Parco urbano dell’Irno a ridosso del Teatro Ghirelli, finalmente l’opera torna a casa sua, tra i caldi velluti del Teatro Municipale Giuseppe Verdi. Per l’occasione, Violetta ed Alfredo chiamano e il pubblico risponde: sala strapiena, sold out, visibile entusiasmo stampato sui volti, sebbene mascherati, degli spettatori; e al termine un convinto e caloroso successo.

Ci si affida a uno spettacolo – regia e costumi di Massimo Gasparon, scene di Alfredo Troisi – “tradizionale”, volendo adoperare questo sterile e insignificante aggettivo per classificare gli spettacoli lirici. Tra vistosissimi e opprimenti drappeggi - non di velluto; di cartapesta, ipotizziamo – viene incastonata la storia di amore e morte di Violetta: un enorme specchio reclinato, una tavola imbandita, intorno alla quale si aggira una Violetta sola e già sconfitta; il nido d’amore sul quale piomba Germont padre è un sobrio e candido palazzo ottocentesco; si ritorna alla festa dell’oltraggio di Alfredo in un turbinio di costumi sgargianti, crinoline e falpalà, fondali specchiati, dominati dal nero laccato. Violetta divora i suoi ultimi momenti in un’ampia camera dominata da un sontuoso letto. Insomma, uno spettacolo, quello firmato da Massimo Gasparon, nel quale si ritrova tutto ciò che ci si può aspettare da una Traviatatradizionale, più come la pretende(va) un certo pubblico che “come la voleva Verdi”. Il regista organizza la drammaturgia dell’opera senza scossoni, procedendo, più o meno, seguendo le indicazioni del libretto. In effetti, nel corso dello spettacolo, la sensazione è che gran parte della recitazione sia demandata alle buone intenzioni degli interpreti, i quali, ad eccezione della Violetta di Nino Machaidze, non appaiono tanto fantasiosi e fecondi di trovate originali. Eccessivamente compassati i Germont (figlio, soprattutto), coro e danzatori si muovono quanto il palcoscenico del Teatro Verdi consente loro.

Sul piano musicale, maggior partecipazione. La direzione di Pier Giorgio Morandi assicura buona tenuta musicale al tutto, tesa com’è a accompagnare cantanti e compagine corale con sicurezza, assicurando buona coesione tra buca e palcoscenico, tendenziale precisione, agogica e dinamiche coerenti e aderenti allo sviluppo del dramma. Una Traviata, anche sul versante musicale, all’insegna della tradizione esecutiva (sì, ritroviamo la tradizione!), nella quale ci sono tutte le arie e le cabalette, ma senza i da capo, dove mancano, invece, le puntature non scritte da Verdi ma pretese dalla “tradizione”. L’Orchestra Filarmonica Giuseppe Verdi è affidabile, flessibile nel dar corso alle indicazioni del direttore, ai suoi rallentamenti e alle sue accensioni: molto ben eseguito il solo del clarinetto su Dammi tu forza, o cielo!”. E fa bene, per sostegno e coesione sonora, anche il Coro del Teatro Verdi di Salerno, diretto per l’occasione e per la prima volta da Armando Tasso.

A dominare il cast è il fascinoso soprano georgiano Nino Machaidze, raffinata e solida interprete di Violetta, della cui psicologia complessa e anima tormentata dimostra ancora una volta di saper scandagliare le pieghe più interne. E riesce a disegnare una Violetta umana, affranta, appassionata e dolente grazie a un fraseggio analitico, intenso, una linea di canto sfumata, che procede sempre ben appoggiata sul fiato e sfoggiando tanto acuti luminosi e timbrati quanto improvvise e struggenti smorzature. Precisa nelle colorature, avvincente nel canto lirico e legato, commovente e di notevole intensità drammatica nel finale, Nino Machaidze fa di Violetta una donna che rincorre gli ultimi scampoli di vita, una creatura passionale, sfaccettata nei sentimenti e, infine, sublimata dal proprio sacrificio.

Machaidze, infatti, convince sin dal Brindisi iniziale; i colori di una vocalità dominata da tecnica agguerrita si incupiscono in “È strano! È strano...”: lentamente lo stupore e la passione amorosa subentrano alla ilarità e leggerezza della festa, cedendo il passo alla vorticosa ebbrezza canora della successiva cabaletta “Sempre libera”,nella quale le colorature vengono affrontante con sicurezza, senza glissarne alcuna, gli acuti risultano “girati” e squillanti. Il “Dite alla giovine”, all’interno del nevralgico duetto con Germont padre, è sussurrato a mo’ di resa al proprio destino: anche scenicamente Nino Machaidze anima un duetto al quale la regia si limita ad impartire movimenti scenici convenzionali. Catartico e intenso il suo “Amami, Alfredo” cantato, su un’esplosione orchestrale, come solo il sincero amore può dare.

Il disfacimento, psicologico prima che fisico, di Violetta è racchiuso in “Addio del passato”: la Machaidze esalta le proprie capacità espressive ed emozionali per delineare una donna divorata dal tarlo della solitudine e pienamente consapevole della fine imminente: il canto s’increspa, il fraseggio si fa ancor più tormentato.

Nell’atto III ci soffermiamo su un particolare che si imprime nella memoria all’ascolto: una frase il cui senso condensa il dramma degli ultimi istanti di vita di Violetta e alla quale l’interprete dà attenzione e peso espressivo. Su Ma se tornando non m’hai salvato, a niuno in terra salvarmi è dato”orchestra e soprano rallentano notevolmente e improvvisamente; il colore sonoro della frase musicale diviene grigio, disperato. Proprio in quell’istante Violetta realizza che se neppure Alfredo riuscirà a salvarla per lei davvero ogni speranza sarà morta. Quel vistoso rallentando è una lunga pausa al flusso di entusiasmo e felicità che anima improvvisamente Violetta non appena le viene annunciato il ritorno di Alfredo. Se la caratura dell’artista si nota anche – e soprattutto - dai particolari più piccoli, questa inflessione musicale, una lenta nenia cupa e cinerea, diventa il miglior termometro della statura artistica del soprano georgiano, Violetta acclamata e di riferimento dei nostri giorni.

Purtroppo nel corso della serata l’Alfredo di Antonio Poli è raramente sintonizzato sulle onde espressive della partner musicale: pur in possesso di mezzi vocali generosi, il suo Alfredo si presenta scenicamente impacciato; sul versante strettamente vocale, la bussola della navigazione canora viene impostata su un canto tendenzialmente stentoreo, troppo energico, nel quale le mezzevoci, pur presenti, non appaiono sempre ben appoggiate.

Quella di Antonio Poli è una prova che cresce e migliore nel corso della serata, soprattutto grazie a una voce dal bel timbro suadente, generosa nel volume, ma, a parere di chi scrive, distante, per aderenza stilistica e gusto, dalla vocalità che la parte di Alfredo postula.

Convince maggiormente, più per l’autorevolezza vocale che per versatilità scenica, Massimo Cavalletti come Giorgio Germont: voce squillante, dal bel timbro caldo, generalmente ben emessa, al netto di qualche asprezza d’emissione. È un Germont padre a tratti ruvido e sbrigativo, ma complessivamente affidabile sebbene monolitico nell’interpretazione.

Le parti secondarie completano degnamente il cast, contribuendo ad assicurare il buon esito complessivo dello spettacolo: tra queste segnaliamo la Flora Bervoix di Sofia Koberidze, l’Annina di Miriam Artiaco, il tonante dottor Grenvil di Carlo Striuli, il barone Douphol dell’esperto Angelo Nardinocchi.

Efficaci nei passi tersicorei i primi ballerini Anbeta Toromani ed Alessandro Macario.

Al termine, grande e convinto successo per tutti, fiori lanciati sul palcoscenico dalla barcaccia, ovazione per la star Nino Machaidze.

Pubblico felice, teatro pieno e tanta voglia di ricominciare anche all’interno del Teatro Giuseppe Verdi di Salerno. Non a caso è Ci muove la passione! lo slogan del Teatro Verdi!


 

 

 
 
 

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