di Roberta Pedrotti
Da Stravinskij a Mozart passando per Beethoven. L'ultimo concerto prima della pausa estiva per la stagione sinfonica del Comunale di Bologna parte da un componimento neoclassico d'occasione per un anniversario di matrimonio per arrivare alla celebrazione di un matrimonio nella Salisburgo del '700; va dal serissimo gioco stilistico di un compositore affermato alla scalpitante prima sinfonia di un trentenne ansioso di affermarsi, al biglietto da visita di un ex enfant prodige che si affaccia alla carriera d'autore.
BOLOGNA, 27 giugno 2014 - Un percorso a ritroso nel tempo, da un anniversario di matrimonio celebrato con un concerto di Stravinskij nel 1938 a una cerimonia nuziale festeggiata con una serenata di Mozart nel 1776, nel mezzo l'esordio sinfonico di Beethoven nel 1800: ecco il concerto con cui la stagione sinfonica del Comunale di Bologna si congeda per l'estate in attesa della ripresa il prossimo 7 novembre, con Pietari Inkinen sul podio per Šostakovič, Strauss e Wagner.
Quando i coniugi Bliss, perfetti esempi di quell'alta (o altissima) borghesia statunitense protesa a emulare, non solo nel mecenatismo, le signorie rinascimentali italiane, commissionano un concerto da eseguirsi nella loro tenuta battezzata Dumbarton Oaks (titolo, poi, attribuito alla stessa partitura), Stravinskij sembra cogliere l'occasione per divertirsi nell'esplorare tutte le potenzialità di un neoclassicismo che non è semplicemente gioco o mise en abîme, ma un'arte dialettica senza barriere temporali, ma in continuo rapporto critico e costruttivo fra passato e presente. Un ponte ideale, in questo caso, fra il Novecento e il Settecento di Bach, del Concerto Grosso e dei Concerti Brandeburghesi. L'ironia, se di ironia si può parlare, quando si presenta è quella lucida e ambivalente del tempo di Brecht e Pirandello, è la festosità inquietante se non macabra di Ensor, si direbbe (se non fosse rischiare di far torto a Robert e Mildred Bliss) consapevole di come le rassicuranti forme classiche appagheranno le necessità dei destinatari e i riflessi più moderni le loro ambizioni intellettuali. Antico e nuovo quel tanto che basta a soddisfare la consegna, e poi il genio ad ammiccare con sguardo penetrante dietro la maschera della musica d'occasione, come già tanti prima di lui, a dire ciò che volevano fingendo di dire ciò che volevano mecenati e committenti.
Aveva assunto quella maschera anche Mozart, quando accolse l'invito a illustrare musicalmente le nozze della sorella dell'amico Sigmund Haffner jr, sia per amicizia e sincera gratitudine verso la famiglia che aveva patrocinato parte della sua carriera di enfant prodige, sia per proporre un eloquente biglietto da visita del fanciullo divenuto giovane compositore in cerca di lavoro. E, dunque, con la grazia e il garbo del genio che non ha bisogno di passare la misura, dipanare alla perfezione in otto movimenti introduzione e gran finale, trii e minuetti, rondò e lirici andanti. Prende però un grosso abbaglio Riccardo Castagnetti, nell'estendere le note di sala, quando afferma che da questa serenata Mozart trasse il materiale per l'omonima sinfonia in occasione dell'elevazione al rango nobiliare dello stesso Sigmund Haffner nel 1782 (non 1781): fu invece un'altra serenata a essere composta per quell'occasione e poi trasformata nella nota Sinfonia n.35 in Re Maggiore, che ebbe la prima esecuzione pubblica nel 1783.
Nessuna commissione nuziale, ma desiderio pari a quello mozartiano di presentarsi alla ribalta ufficialmente come compositore maturo dopo la giovanile affermazione alla tastiera, muove il trentenne Beethoven a comporre la sua prima sinfonia, che costituisce dunque il perfetto completamento di questo percorso a ritroso attraverso due secoli e mezzo di musica, dal neoclassicismo al classicismo viennese, da sponsale a sponsale, da mecenate a mecenate.
Questo repertorio e questa estetica si addicono al temperamento di Michele Mariotti, con tempi e sonorità equilibrati, fraseggio limpido ed elegante; l'orchestra risponde meglio rispetto al concerto della settimana precedente, la dinamica e l'assieme nel complesso più controllati, con la prova della spalla Paolo Mancini in evidenza come violino concertante nella Serenata Haffner. Non possiamo però non registrare anche in questo caso qualche sbavatura e qualche calo di concentrazione (in un programma piuttosto lungo), con alcuni sbandamenti, per esempio, di corno e fagotto (quest'ultimo già in difficoltà con Čajkovskij il 21 giugno). Il successo è comunque vibrante, con ripetute chiamate finali che testimoniano la stima e l'affetto ben riposti nel direttore musicale, oltre al tangibile entusiasmo per un programma che, d'altra parte, prevedeva brani nati appositamente per piacere e colpire.