Riccardo Muti

Il suono delle immagini

di Luca Fialdini

Un filo sottile lega Riccardo Muti, Massimo Cacciari, la Campania, l'Orchestra Cherubini, Haydn e Masaccio in un'intensa serata registrata a porte chiuse e trasmessa da Rai5.

Rai5 da Caserta, 17 gennaio 2021 - Il biennio 2020-2021 è segnato dal ritorno di Riccardo Muti nella sua Campania, un ritorno avvenuto con modalità che nessuno si sarebbe aspettato, in cui storia, arte e bellezza si mescolano con misure di sicurezza e distanziamenti. Dopo i successi estivi al Ravello Festival e a Paestum, Muti e l’Orchestra giovanile Cherubini fanno il loro ingresso al Teatro di Corte della Reggia di Caserta, scortati da Massimo Cacciari; ad accoglierli palchi e platea rigorosamente vuoti. Il silenzio, le mezze luci, l’insolita tensione che si percepisce trasfigurano il teatro di Vanvitelli ed evocano una solenne gravità, un senso di introspezione recettiva: la condizione ideale per eseguire Le ultime sette parole di Cristo sulla croce di Franz Joseph Haydn, un’opera importante all’interno del repertorio mutiano.

Mentre scorrono le immagini della Reggia di Caserta arriva la voce di Massimo Cacciari. È di fronte all’orchestra schierata, in piedi, e tiene in mano una copia di Le sette parole di Cristo, pubblicato l’anno scorso da Il Mulino e scritto a quattro mani con Muti. C’è un nodo che tiene uniti Muti, Haydn e la Campania, e Cacciari lo rivela subito: la Crocifissione di Masaccio, custodita nel Museo di Capodimonte. L’esecuzione stessa nasce dalla sintesi tra pensiero musicale e immagine visiva. L’opera di Masaccio - nella sua natura di icona - è fortemente simbolica, accosta «pensieri diversi in simultanea»; in questo il messaggio dell’immagine può essere sublimato attraverso quel veicolo che è la musica, capace di restituirci il suono delle immagini in modo assai più diretto del linguaggio figurativo: «La musica parla anche a chi non ne sa il linguaggio, è il linguaggio meno rappresentativo, il meno narrativo che si possa immaginare e quello che produce più immagini». A questo si aggiungono le sette parole (o meglio, sette frasi) di Cristo su cui Haydn ha costruito il proprio lavoro. L’operazione condotta da Muti è tanto straordinaria perché nell’esecuzione è in grado di restituire in modo magistrale il suono di quei versi, il suono di quella immagine.

È questo che si avverte sensibilmente - dopo l’Introduzione - nella Sonata I, con le due quinte discendenti che sillabano l’invocazione «Pater». Nel teatro vuoto, privo anche delle poltrone di platea, si leva il grido umano del Cristo crocifisso, un grido che non trova alcun orecchio a udirlo. Sarà facile analogia o forse potenza della suggestione, ma in questo momento un’espressione di dolore in un teatro vuoto è densa si significato: è il grido inascoltato di una cultura che è la nostra anima, è la sofferenza di una spiritualità non colta. Nella lettura che Riccardo Muti imprime alla partitura si coglie la natura più intima del pensiero di Haydn, un qualcosa che va ben oltre la committenza quaresimale che giustifica l’opera e che si fonda proprio sulla sua natura trasversale in cui l’immagine e la parola sono presenti ma celate da quel velo sottile che è la musica strumentale. Esiste una seconda versione delle Sette parole rielaborata in forma di cantata, con soli e coro, ma risulta più debole di questa proprio per il suo rendere esplicito un testo che non ha bisogno di sottolineature, tanto la scrittura di Haydn ha saputo intrecciarlo al tessuto orchestrale.

In questo l’Orchestra Cherubini si è dimostrata formidabile: sotto la guida di Muti l’orchestra comunica quasi verbalmente con il pubblico, ed ecco che sentiamo l’inflessione di Sitio («ho sete»), il dolente Mulier, ecce filium tuum («donna, ecco tuo figlio») e il dolce - ma straziante - In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum («Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito»). Da sottolineare la pulizia d’esecuzione e la precisione d’intonazione dell’orchestra in una partitura davvero rischiosa, in cui ci si mostra nudi di fronte al pubblico. Da segnalare l’esecuzione della Sonata VI (Consummatum est, «tutto è compiuto»), capace di far vibrare corde davvero profonde.

Senz’altro d’effetto il Terremoto conclusivo, dalla funzione narrativa ma anche strettamente liturgica (anticamente esisteva l’Ufficio delle Tenebre, con i secoli il cattolicesimo si è spogliato di quasi tutti i suoi tratti mistici e suggestivi), un terremoto che - a conti fatti - altro non è che la riproduzione fenomenica di un dramma tutto interiore che abbiamo vissuto in questo intreccio simbiotico di immagine e verbo che si fanno pensiero veicolato dal suono. Nessun applauso alla fine, così come nessun applauso aveva salutato l’ingresso di Muti. Dopo la tragedia, solo il silenzio.

Il concerto, presentato da RAI Cultura in prima tv, è una produzione della Regione Campania attraverso SCABEC in partnership con Ravenna Festival, RMMusic e la collaborazione della direzione della Reggia di Caserta ed è disponibile su RaiPlay [https://www.raiplay.it/video/2021/01/Muti-suona-Haydn-alla-Reggia-di-Caserta-2e023354-32b4-4bd4-8d02-698cd561441f.html].

foto Marco Borrelli