Un bel gioco dura poco

di Roberta Pedrotti

Il recital disimpegnato e nazional popolare - inutilmente appesantito da discutibili interventi parlati - mostra purtroppo tutti i limiti attuali di Vittorio Grigolo, i cui difetti vengono amplificati dall'affievolirsi delle doti vocali naturali. Eroico e virtuoso nel reggere le fila musicali al pianoforte il veterano Vincenzo Scalera.

Streaming da Milano, 22 febbraio 2021 - Un recital è sempre anche un autoritratto del solista, ne rappresenta le caratteristiche, la personalità, il gusto. Anche quello pessimo, che, intendiamoci, può anche piacere e divertire. Il fatto che il recital di Vittorio Grigolo dalla Scala conti una media di oltre millecinquecento connessioni, con commenti, per lo più gioiosi, da ogni capo del pianeta fa per certi versi anche piacere, per altri fa pensare all'intramontabile successo del kitsch. D'altra parte, c'è chi è felicissimo di acquistare un souvenir industriale pigiato sotto il ponte di Rialto, d'altra parte - confessiamolo - anche una cena da fast food ogni tanto può essere divertente. Però, ormai, bisogna pur ammettere che non sono proprio buone cose quelle di pessimo gusto che il tenore ci ammanisce questa sera in un recital che più nazional popolare non si può, da "Una furtiva lagrima" a "Che gelida manina", da "La donna è mobile" a "E lucevan le stelle" per finire con "O sole mio". Quel che un tempo era un fare un po' guascone e gigione sostenuto comunque dai mezzi ragguardevoli di una voce franca dal timbro luminoso e dalla facile espansione, ora diventa l'ottovolante di continui accelerando e rallentando inseguiti dall'eroico Vincenzo Scalera (davvero una prova d’alto virtuosismo la sua, peccato che sia stato messo al servizio del salvataggio della situazione e non del far musica insieme); diventa il leziosismo perpetuo di filati e diminuendo sempre più opachi e meno appoggiati, appena appena catturati fin dai microfoni per lo streaming, mentre l’emissione sembra sempre più spinta e meno sostenuta dal fiato. Tutto naturalmente condito dalla consueta gestualità sopra le righe, gag, metti e togli la giacca, metti e togli il papillon. Questo è Grigolo, non stupisce che lo sia anche in un contesto come quello presente. Ciascuno comunica nel modo che gli è più confacente, non c'è nulla di male: c'è chi sceglie la via di una comunicazione sobria, minimalista, chi finge di sentire il pubblico e interloquire con esso.

Il suo pubblico apprezza. Magari apprezzerà anche gli intermezzi preregistrati in cui il tenore presenta ogni coppia di brani con la consueta retorica sentimentale e compiaciuta, tuttavia è difficile non lamentarne la lunghezza invasiva che appesantisce inutilmente un recital popolare e disimpegnato trasformandolo in un'autocelebrazione. Soprattutto non si possono non lamentare le approssimazioni che veicola, come nel caso dell'aria dal Duca d'Alba. Grigolo si dice affascinato dal fatto che il testimone nella composizione sia passato da Donizetti al suo allievo Matteo Salvi, ma continua ad attribuire "Angelo casto e bel" (che è di Salvi dalla prima all'ultima nota) a Donizetti, pur citandone la data sembra non fare caso al fatto che il completamento e il debutto avvengano quarant'anni dopo la morte del bergamasco, inventa perfino che Donizetti avrebbe abbandonato il progetto del Duca d'Alba (commissionato nel 1839) per dedicarsi all'Elisir d'amore (1832). Presentando "Ah lève-toi soleil" spiega che sarebbe un invito al nuovo giorno a sorgere portando nuovi incontri con Giulietta: possibile che chi ha cantato tante volte l'opera di Gounod non sappia che Romeo identifica Giulietta con il Sole che sorge dall'Oriente, il balcone? Sarebbe anche uno dei passi più celebri di Shakespeare. Non ci soffermiamo sul fatto che Grigolo si senta in dovere di spiegare perché da Roméo et Juliette ha scelto proprio quell'aria (cos'altro portano i tenori in concerto, d'abitudine?) e rimescoli ancora le carte (la scena del balcone non è certo il primo incontro, dato che nell'atto precedente c'era stato quello nella festa con il madrigale "Ange adorabile", che forse è quella "ninna nanna" che secondo il tenore "viene dopo"...), certo, però, qualche parola in meno sarebbe stata oppurtuna. Anche un po' di gusto in più nel canto, un briciolo più di musicalità e un po' meno superficialità. Il bel gioco dura poco e, passata la freschezza incoscente dei primi anni, è purtroppo facile trasformarsi da generoso ed estroverso a macchietta di se stesso.