Concerto pasquale

 di Stefano Ceccarelli

All’Accademia Nazionale di Santa Cecilia si esegue il consueto concerto pasquale, cui si è costretti ad assistere in diretta dal canale YouTube dell’istituzione. Ad aprire la serata è il direttore, Myung-Whun Chung, con il Concerto n. 23 il la maggiore K. 488 di Wolfgang Amadeus Mozart, dove Chung esegue eccezionalmente anche la parte pianistica, con notevole successo. Nella seconda parte vi è lo Stabat Mater di Gioachino Rossini; voci soliste sono Mariangela Sicilia (soprano), Chiara Amarù (mezzosoprano), Jack Swanson (tenore) e Gianluca Buratto (basso). Il concerto, anche grazie all’ottima performance di orchestra e coro, è un successo e si rimpiange di non avervi potuto assistere dal vivo.

ROMA, 2 aprile 2021 – Il tradizionale concerto pasquale dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia si svolge – come purtroppo imposto dai regolamenti vigenti in materia di salute pubblica – a distanza, cosa che, però, non va, fortunatamente, ad inficiare la bellezza dell’esecuzione generale, eseguita e registrata, soprattutto, con notevole perizia. L’orchestra dell’Accademia è diretta da Myung-Wun Chung, che della massima orchestra capitolina è stato a lungo direttore principale (1997-2005).

Il concerto si apre con l’esecuzione del celebre Concerto K. 488 di Mozart; al pianoforte siede lo stesso Chung, che (proprio come si faceva all’epoca dell’Austriaco) è, quindi, pianista e direttore. Fin dalle prime battute del pianoforte nell’Allegro ci si può agevolmente rendere conto della cristallina qualità dell’esecuzione di Chung, che in effetti ha condotto anche studi pianistici, vincendo persino il Čajkovskij. Chung imposta un’agogica rilassata ed estremamente cantabile, dove l’orchestra può cavare ogni dolcezza dalla scrittura mozartiana e il pianista può agevolmente muoversi fra le melodie, le raffinatezze, i trilli e i giochi della scrittura mozartiana, circonfusa di placida serenità. Ma Chung sa essere un pianista d’effetto anche nel coup de théâtre dell’attacco, caratterizzato da una melodia che più melanconica non si può, dell’Adagio centrale. L’esecuzione della prima parte del movimento ha un che di intimisticamente religioso nella lentezza con cui Chung legge le frasi del pianoforte, creando un effetto che libera ancor più la seconda parte del movimento, dove il pianoforte esce da una monocorde tristezza e si sfuma in passaggi più dolci. Il concerto termina in un brillante Allegro assai, che suggella divinamente il concerto. L’intesa fra Chung e l’orchestra è eccellente e l’esecuzione si caratterizza per una lettura brillante e agogicamente rilassata.

Il secondo tempo è interamente dedicato allo Stabat Mater di Rossini, vera opera ‘pasquale’ della serata. Fin dallo «Stabat Mater» iniziale, la direzione di Chung si fa scultorea, tanto da allargare le frasi musicali, ma senza mai fargli perdere tensione. Nel giudicare le voci, non potrò ovviamente tener conto della potenza di emissione, giacché è del tutto impercettibile (se non sommariamente) da un video. La prima voce maschile in assolo è il tenore, Jack Swanson, nel «Cujus animam». La linea del canto è buona e uniforme; il timbro brunito conferisce una certa profondità al brano; gli acuti sono precisi e incisivi: insomma, note e interpretazioni sembrano esserci tutte. Notevole il «Quis est homo», sia per la direzione di Chung, sempre volta all’analisi senza perdere sostanza e ritmo (essenziali nella scrittura di Rossini), sia per l’esecuzione di Mariangela Sicilia e Chiara Amarù, rispettivamente nella parte del soprano e del mezzosoprano. Apprezzabili, in particolare, le volute delle linee del canto, che sono fra le migliori invenzioni dell’arte di Rossini. Ieratica, profonda e vissuta è l’aria del basso, «Pro peccatis suae gentis»: ad eseguirla è Gianluca Buratto, dotato anche dello squillo opportuno per questa partitura. La sacralità dell’«Eja Mater», data da un coro che alterna filati a momenti di più austera potenza, è ancora esaltata dalla direzione sorvegliata di Chung. Il seguente quartetto («Sancta mater») è tra i momenti più alti del concerto, con le voci ben armonizzate e una direzione millimetrica di Chung. Giungono, poi, le arie delle due soliste femminili. Amarù sceglie un’interpretazione intimistica, a fil di voce, tutta giocata sui colori per «Fac ut portem Christi mortem»; Amarù che vanta un timbro lievemente scuro e un’uniforme linea di canto. La Sicilia, nel potente «Inflammatus et accensus», aumenta il volume della voce, cosicché gli acuti risultano sferzate fra le grida degli archi, evocanti le fiamme dell’ardore della fede; la voce della Sicilia, chiara e squillante, trova il suo miglior talento nell’innalzarsi all’acuto, penetrante e vigoroso. Il coro a cappella che prelude al finale («Quando corpus morietur») è di una tale bellezza esecutiva, nei colori delle voci corali, da commuovere; ancora, la scelta agogica di Chung si rivela adattissima all’ethos della partitura. Il rutilante finale, dove tutte le compagini intervengono, suggella un’esecuzione di cui sarebbe stato splendido godere dal vivo. Gli esecutori tutti accolgano i miei applausi virtuali.