L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Divine lunghezze

di Lorenzo Cannistrà

Dopo aver cancellato Salome per motivi di salute, Zubin Mehta ritorna in perfetta forma alla testa dell’Orchestra del Teatro alla Scala per un concerto trasmesso in streaming nel giorno di Pasqua. Una grande prova direttoriale in un bellissimo programma comprendente la giovanile Terza sinfonia di Schubert e la monumentale Nona di Bruckner

Leggenda narra che il grande Dimitri Mitropoulos, avvertito dai propri medici che continuare a dirigere gli sarebbe stato letale, rispondesse che smettere avrebbe significato per lui comunque una morte certa. Così egli preferì stramazzare tra i leggii durante le prove della Terza di Mahler piuttosto che appendere la bacchetta al chiodo e ritirarsi in una dorata e tranquilla pensione.

Anche Zubin Mehta appartiene indubbiamente a quella schiatta di direttori (e di artisti in generale) in cui il sacro fuoco dell’arte è ragione stessa di vita, e la cui attività si sta prolungando ben oltre la canonica età pensionabile. Non è stato e non è certo l’unico: recente è l’abbandono del podio di Bernard Haitink, “solo”  novantenne, mentre qualche giorno fa Herbert Blomstedt dirigeva con sorprendente freschezza la Quinta di Bruckner alla bellezza di novantaquatto anni…. Non stupisce pertanto che Mehta, fermato da un malore durante le prove della Salome lo scorso febbraio, sia ricomparso in buona forma per questo concerto di Pasqua. Certo, data la sua onorevole età, non si può dire che sia tornato in sella ad una tigre: qualche incespicamento ancora c’è, risolto con i suoi soliti sorrisi gentili, ma la lucidità di dirigere a memoria (!) è ancora tutta lì, così come pressochè inalterato è il vigore del suo gesto.

Terza di Schubert e Nona di Bruckner: l’accostamento di questi due compositori è piuttosto affascinante. Viennesi, con alle spalle una iniziale carriera da maestro di scuola, entrambi hanno lasciato incompiuta una sinfonia. Ma al di là di questi dati esteriori, è indubbio che il sinfonismo di Bruckner, autore dilaniato suo malgrado tra brahmsiani e wagneriani (senza essere nè l’uno nè l’altro), abbia qualche debito di riconoscenza più con la “Grande” di Schubert che con Wagner o con lo stesso Beethoven.

Più difficile immaginare invece due lavori più lontani non tanto nel tempo quanto nello spirito: la Sinfonia D 200 di Schubert è un lavoro giovanile, che risente dei modelli di Haydn e Mozart (e con un carattere rossiniano ante litteram rispetto all'esplosione viennese della fama dell'italiano), che abita stabilmente il repertorio di grandi direttori, ma che forse non raggiunge le vette della pur ancora classicissima Quinta. La Nona di Bruckner, incompiuta come la celeberrima sinfonia schubertiana, è invece una sorta di testamento spirituale, animata da un avvertibile senso di commiato, estrema propaggine della creatività di un genio probabilmente consapevole che sarebbe stata la sua ultima opera.

Mehta ha una grande confidenza con il programma di questa serata pasquale. La sinfonia di Schubert è nel suo repertorio da diversi decenni, mentre la Nona era già stata oggetto di studio in età giovanile, nientemeno che con Bruno Walter a Los Angeles (lo rivela lo stesso Mehta rivela in un’intervista contenuta nel numero di aprile del Magazine della Scala).

Colpisce subito in Schubert la comodità dei tempi scelti dal direttore indiano, perfettamente coadiuvato dall’orchestra del Teatro alla Scala, con cui ha un’intesa più che collaudata. Il metronomo scelto da Mehta va forse a detrimento di una certa brillantezza (quasi rossiniana, come si diceva, specialmente nel primo movimento e nella tarantella finale), ma a beneficio di una leggerezza e un respiro assai gradevoli. Stesse considerazioni valgono per il secondo movimento (in forma di canzone) in cui il tema è esposto con un tempo assai moderato e con uno staccato degli archi appena percettibile e per niente secco. Il Minuetto seguente è anch’esso depotenziato dalla componente “beethoveniana” che in altre esecuzioni (si ascolti, agli antipodi, Kleiber) trasforma la tradizionale danza in una rude melodia popolaresca.

La Nona di Bruckner inizia con un andamento Misterioso (I° movimento), ma a differenza di quanto avviene con Schubert i tempi qui non sono dilatati a dismisura. Al contrario, più che un’atmosfera di attesa, pregna di presagi, si avverte nell’orchestra un’urgenza di far esplodere il primo tema, davvero tellurico e grandioso in questa esecuzione. Il meraviglioso secondo tema si stende quasi con la stessa urgenza questa volta di tenerezza, commozione e passione, con armonie e stilemi tipici di altri luoghi bruckneriani (vedi la Settima, di cui è riconoscibile anche un inciso del celebre secondo movimento).

Nello Scherzo l’elemento demoniaco, infernale, che distorce i connotati tipici del classico Landlër, non è così esaperato da Mehta come in altre anche celebri esecuzioni, in cui il movimento ossessivo degli archi raggiunge a volte il parossismo. Il risultato è quello di accentuare la spensieratezza (non del tutto priva di inquietudini) delle sezioni di raccordo e del rapido Trio.

Infine l’Adagio, in cui il messaggio di “Addio alla vita” passa attraverso un congerie di episodi difficilmente riconducibile ad unità, ma a cui la mano ancora ferma di Mehta conferisce il senso e la visione di una lunga planata verso la serenità e la riconciliazione con il mondo: la Nona di Mahler è ancora di là da venire, ma la rarefazione sonora, le lunghissime perorazioni degli archi e finanche gli scoppi orchestrali, densi a volte delle sonorità organistiche tanto amate da Bruckner, conservano nell’interpretazione del direttore indiano quel distacco proprio di chi contempla il mondo da una dimensione non più terrena.

La “divina lunghezza” del concerto non ha sicuramente disturbato l’attento fruitore di questo ennesimo streaming offerto dal Teatro alla Scala. Schubert e Bruckner ritrovano un ulteriore punto di contatto nel perdersi della traccia tematica nei boschi incantati della loro inesauribile vena: ma, dice ancora Mehta nella citata intervista, “quando uno sa godere veramente della musica di Bruckner [e aggiungiamo noi, di Schubert], la lunghezza non dà nessun fastidio”.


 

 

 
 
 

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