Suono sospeso

di Roberta Pedrotti

Il ciclo dei concerti a porte chiuse trasmessi in streaming dall'Orchestra Regionale Toscana si chiude con un bel programma diretto da Alessandro Bonato, solista al fagotto Paolo Carlini. Non mancano, tuttavia, anche altre registrazioni interessanti nel canale youtube dell'orchestra, per esempio il concerto per violino di Sibelius con Francesca Dego e, sul podio, Dalia Stasesvka, o una prima assoluta di Daniela Terranova.

Anche l’Orchestra della Toscana ha dato il suo ultimo streaming e si appresta a riaprire le porte al pubblico. Certo, le migliaia di visualizzazioni per ogni concerto fanno pensare, dato più che positivo sull’interesse di una vasta platea che aspetta solo di essere riaccompagnata in presenza per godere pienamente di tutto quello che lo streaming non potrà mai dare: l’esperienza fisica, unica e personale del suono, di quel suono che si sente vibrare anche nelle tavole del pavimento attraverso la suola delle scarpe, di quel suono ricco di colori, armonici, spessori che anche i migliori microfoni e le migliori casse filtreranno sempre secondo le loro caratteristiche, la scelta di guardare dove vogliamo senza dipendere da una regia video, la condivisione della stessa aria, di sensazioni, profumi, l’applauso liberatorio, i commenti o i silenzi assorti, perfino il tragitto da casa al teatro. E, d’altra parte, in quella platea virtuale abbiamo incontrato sovente assidui, attenti spettatori da tutto il mondo, persone che a malapena avrebbero mai potuto vedere questi teatri e ascoltare questi musicisti e che ora salutano un po’ a malincuore la fine delle trasmissioni. Chissà, però, che non si affinino palinsesti per affiancare al pubblico in sala anche fruizioni tramite queste piattaforme. La musica vive dal vivo, ma di certo un’opzione in più, oltre alle incisioni, male non fa per curiosare, conoscere o riascoltare.

L’ultimo streaming prima di riaprire le porte. Sul podio - un po’ a sorpresa rispetto al cartellone annunciato, ma è una bella sorpresa - arriva Alessandro Bonato, vale a dire uno di quei direttori sui quali oggi scommetteremmo a occhi chiusi, perché dopo le esperienze dal vivo (quante finora l’età - sua - e la situazione - globale - hanno reso possibile) ha continuato a confermare nei concerti in streaming di avere sempre quel qualcosa in più d’artista che desta l’attenzione anche nel distratto scorrere di una playlist al computer. 

La sala, ancor più vasta così vuota, del Verdi risuona subito del Valse triste di Sibelius. Difficile pensare a una scelta più azzeccata, nel graduale prender forma di un’idea, quella della danza più popolare, godereccia e gaudente, che svelava comicamente i plebei nelle feste dei nobili (Masetto e il rossiniano Dandini ballano o nominano il Teitsch, o Taice, parente stretto e avo del Valzer), che segna il destino mondano di Violetta nella Traviata e poi diventa il canto del cigno di un secolo intero, la spensieratezza di una classe dirigente sull’orlo del baratro, una malinconia che sfuma in una coppa di Champagne. Gli Strauss viennesi, lo Strauss Bavarese, Cajkovskij, poi Ravel, poi Šostakóvič… e naturalmente Sibelius hanno trovato nel ritmo, nell’idea del valzer un mondo di leggerezza, sensualità, malinconia, sarcasmo, dolore e presagio. Prende forma in una filigrana sottilissima ma sinuosa e piena, elusiva e allusiva, un inno alla vita che è anche danze macabre, o potrebbe esserlo se non continuasse a sfuggire ammiccando là dove finalmente si dispiega la melodia e il passo di danza si fa evidente prima di chiudersi sospeso ed enigmatico. Davvero una bella lettura, eloquente e profonda cui fa seguito una non meno interessante interpretazione di Nino Rota e del suo Concerto per fagotto (ottimo solista Paolo Carlini). Sarà pur vero che la felicità melodica e la gioiosa esuberanza di tanta sua musica potrebbe restituire un ritratto sereno, disimpegnato e aproblematico del compositore milanese, così totalmente assorbito dalla dimensione sonora da disinteressarsi perfino dei film per i quali lavorava. Eppure in questo sfacciato neoclassicismo, per certi versi parallelo a quello stravinskijano anche nel virtuosismo citazionista o paracitazionista, non è così limpido come può sembrare, soprattutto non è così semplicemente ancorato a un idilliaco passato ideale. Il materiale musicale, anzi, talora è trattato come oggetto ai limiti dello straniamento perturbante, la melodia spregiudicata ha un’altra faccia della medaglia, come il doloroso lirismo e il sarcasmo grottesco in Šostakóvič. Allora, è un piacere ascoltare come la bellezza della melodia o la brillantezza del virtuosismo non siano solamente belli, ma cantino lasciando intuire ombre e sottintesi, forme tanto definite da trasformarsi in moduli dai molteplici significati, sinceri, ironici, interlocutori. Lo schema stesso della variazione, di così antica e nobile tradizione, diventa una modernissima chiave per esplorare la vertiginosa varietà dell’esistenza e della percezione, con il tema che addirittura si trasforma di un’ombra della rinascimentale Greensleeves già manipolata da Busoni. Con queste premesse la Sinfonia n. 40 di Mozart arriva come una conseguenza, forse sorprendente ma inevitabile. Non è, insomma, la stessa che avevamo ascoltato dallo stesso direttore qualche tempo fa (ahinoi, sempre solo in streaming - leggi la recensione): leggermente più lenta, non si sfilaccia, anzi, pone ancor più in evidenza tutta la trama orchestrale e la sua tensione interna. Così, per esempio, ogni riproposizione tematica può mostrarsi sotto una luce diversa, con variazioni di tempi e dinamiche sottili ma percettibili, a suggerire un senso di continua ricerca, di esplorazione dello stesso materiale. Dopotutto non è la forma sonata stessa, con contrasti, sviluppi e riprese, un corrispettivo musicale del percorso dialettico hegeliano? Tant’è vero che gli stessi termini di durate hanno davvero poco senso: quel che conta è il rapporto agogico, sono gli accenti, è la tensione interna che si dipana di movimento in movimento, il rapporto dinamico fra forme che si fa forza propulsiva, evoluzione non risolutiva, come traspare dalla quiete sospesa del finale, culmine, sì, ma aperto,equilibrio perfetto quanto effimero in attesa di un nuovo stimolo, un nuovo slancio.

Così resta, più eloquente che mai, l’ultimo accordo mozartiano applaudito fra musicisti ma ancora in attesa del pubblico.

L’ultimo streaming. Allora, tanto vale curiosare anche nell’archivio, ché l’Orchestra della Toscana è un’ottima orchestra, capace anche di muoversi con il pilota automatico, evitando deragliamenti, se incontra qualche gestualità un po’ scombiccherata, capace di dar soddisfazione con risposte pronte e precise ai concertatori più ferrati e interessanti. In questo senso si segnala, per esempio, il programma dedicato alla memoria di Piero Farulli con un concerto per violino di Sibelius affidato a una splendida Francesca Dego, caleidoscopio di colori e dinamiche sempre incisivi, con il piglio avvincente di Dalia Stasesvka, esponente di spicco dell’ultima generazione formatasi nella gloriosa scuola direttoriale finlandese (ma, già che siamo a Firenze, forse all’ORT dovrebbero sciacquare i panni in Arno e usare il corretto femminile italiano direttrice in luogo dell’arbitraria flessione maschile). Fa anche piacere ritrovare Valentin Uryupin, che tanto avevamo apprezzato in un concerto bolognese pre-pandemia (leggi la recensione); fa piacere trovare lo spazio ancora per pagine inedite, come Light Cloud, Dark Cloud (d’après Rothko) per clarinetto e orchestra di Daniela Terranova, allieva di Azio Corghi già apprezzata per lavori legati alle arti visive (Interno metafisico. "D'après" De Chirico), qui felicemente impegnata nel contrapporre le estreme potenzialità timbriche dello strumento affidato a Marco Ortolani e dell’orchestra ben guidata da Jader Bignamini. E Axelrod, Luisi, Rustioni, Noseda, Krylov, Gringolts, Tifu e altri nomi ben noti o da scoprire (Nil Venditti, classe 1994, dopo Bonato, 1995, la più giovane in cartellone) completano un archivio virtuale che, perché no, potrebbe continuare a rimpolparsi anche con concerti a sala finalmente piena di pubblico.