Finale in bellezza

di Lorenzo Cannistrà

L’Orchestra dell’Università degli Studi di Milano, diretta da Antonino Fogliani e con la partecipazione di Mariangela Vacatello solista d’eccezione, ha chiuso la sua ventunesima stagione sinfonica con le stupende pagine romantiche del Primo Concerto di Liszt e della Sinfonia n. 3 “Renana” di Schumann. In programma anche la prima esecuzione italiana delle Topelius Variations di Kraggerud

Milano, 25 maggio 2021 - Il concerto finale dell’Orchestra UniMi coincide con uno dei primi emozionanti ritorni alla musica davanti al pubblico in carne ed ossa. Di fronte ad una Sala Verdi del Conservatorio gremita nei limiti del possibile, il Presidente dell’Orchestra e il Rettore della Statale di Milano hanno pronunciato brevi e misurate parole di benvenuto, ponendo l’accento proprio sulla bellezza della grande musica fruita finalmente dal vivo.

Il programma si apre con la prima esecuzione italiana delle Topelius Variations del compositore norvegese Henning Kraggerud, un brano per soli archi che si muove nel solco di una tonalità senza sorprese, con belle melodie articolate in ampie frasi (sottili reminiscenze timbriche rimandano addirittura all’ultimo movimento della sinfonia “Patetica” di Čajkovskij). Menzione speciale per il primo violino di spalla, i cui lunghi assoli hanno deliziato il pubblico presente in sala.

A seguire, il Concerto n. 1 di Liszt interpretato da Mariangela Vacatello, senz’altro una delle migliori pianiste italiane in circolazione. Questo concerto è una vecchia conoscenza per la pianista stabiese – fa parte del suo repertorio da quando aveva solo 14 (!) anni – e questa sera ne ha dato una interpretazione veramente viva, cangiante nei colori e nelle dinamiche, anche perchè la scrittura lisztiana esalta le naturali qualità della solista (in gioventù vincitrice, non dimentichiamolo, del prestigioso concorso “Liszt” di Utrecht). L’irruenza dell’attacco iniziale, affrontato impavidamente dalla pianista senza furbeschi au ralenti, lascia presto il posto alla dolcezza dell’episodio seguente (una sorta di “secondo tema”). Coadiuvata dall’eco del clarinetto e dai due violini (ottimi tutti), la Vacatello esibisce un timbro e una musicalità degne delle incisioni più notevoli di questo capolavoro, scavando la melodia con languore tipicamente romantico ma senza eccessi, e disegnando le occasionali fioriture virtuosistiche della mano destra con assoluto controllo. Il secondo movimento ha una dolcezza tipicamente chopiniana, ma anche qui è in agguato la zampata del virtuoso, nell’accelerando verso la fine dell’episodio lirico e nel drammatico recitativo seguente. Il terzo movimento viene condotto con grande serietà, valorizzando al minimo l’indicazione scherzando che si trova in partitura. Nel complesso più che buona l’intesa con il direttore, che ha soltanto dovuto faticare a stare dietro alle torrenziali ottave del primo movimento e dell’episodio che funge da transizione al quarto movimento. A proposito di quest’ultimo, l’arsenale di difficoltà pianistiche approntato da Liszt non disorienta minimamente la Vacatello, che le affronta brillantemente ma con chiarezza ed estremo rigore ritmico, senza fretta, fino alla travolgente stretta finale. Un cenno meritano i due bis, due studi di Chopin (op. 10 n. 12 ed op. 25 op. 1). Nel primo la mano sinistra attacca le quartine a velocità quasi impossibile, pur mantenendo un saldo rapporto con la nobile declamazione affidata alla mano destra. Originale l’idea di cominciare a smorzare l’intensità sonora già dall’ultima apparizione del famoso tema in do minore: ne deriva un suggestivo e quasi sognante planare verso la fine del pezzo, bruscamente interrotto dall’ultima precipitosa figurazione. Il secondo studio è davvero un’arpa eolica in cui la melodia cesellata dal mignolo della mano destra sembra non risentire, nella sua dinamica e agogica, della scomodità di alcuni vorticosi arpeggi centrali. Ed anche questo è segno di un’impavidità esecutiva che può essere sorretta solo da mezzi tecnici più che agguerriti.

Il programma si chiude con la “Renana” di Schumann, la Sinfonia n. 3, che nel corpus delle sinfonie del genio di Zwickau può essere considerata l’opera più completa, significativa e matura. L’Orchestra UniMi e Antonino Fogliani (apprezzato specialista rossiniano) ne danno un’interpretazione nel complesso convincente. Il primo movimento è caratterizzato da un giusto impeto romantico e ricchezza di contrasti, soprattutto nella estesa sezione di sviluppo, in cui è ben realizzata e serrata la “lotta” tra i due temi principali (nonostante qualche debolezza dei corni nella citazione del primo tema prima della ripresa). L’orchestra conferisce poi allo Scherzo il colore perfetto di un “Mattino sul Reno” (così era originariamente intitolato il brano): il tema iniziale, affidato alternativamente alle varie famiglie orchestrali, ha l’ampiezza e il sussiego di una tranquilla e borghese passeggiata sulle sponde del grande fiume. Mirabile la coda del successivo Allegretto, che nel suo smorzarsi tranquillo e quasi esitante prepara la solennità del seguente Feierlich, in cui l’orchestra riesce a ricreare un particolare impasto timbrico quasi organistico, in ossequio al carattere “gotico” di un pezzo concepito per accompagnare una solenne cerimonia (per l'esattezza si trattava dell’investitura a cardinale dell'arcivescovo di Colonia, a cui Schumann assistette personalmente). Il movimento finale, dopo il lugubre accordo di mi bemolle minore, riporta ad un contesto più sereno con l’affermazione della tonalità iniziale (il mi bemolle maggiore, peraltro stessa tonalità d’impianto del Concerto di Liszt). Benchè condotto ad un ritmo non troppo serrato, questo ultimo movimento conserva nell’esecuzione dell’orchestra milanese un vivace carattere popolaresco e gioioso.