Libertà e dolore

di Luigi Raso

In Piazza del Plebiscito Juraj Valčuha dirige i complessi del Teatro di San Carlo in un programma dedicato ai compositori sovietici del XX secolo

NAPOLI, 7 luglio 2021 - Lacerati tra propaganda di regime, censura e sarcastica critica alla dittatura comunista, aneliti alla libertà non sono pochi i compositori russi del ‘900 che ci hanno donato pagine musicali dall’indiscutibile valore musicale ed etico, opere musicali di pregiatissima sapienza compositiva e orchestrazione fantasmagorica. È questo il caso delle due composizioni che l’Orchestra e il Coro del Teatro di San Carlo, il direttore musicale della Fondazione Juraj Valčuha e il mezzosoprano Ekaterina Semenchuck presentano in Piazza del Plebiscito in Napoli per il Progetto Regione Lirica 2021, interessante, per scelta di titoli e artisti, stagione lirica all’aperto del Massimo partenopeo.

Il concerto si apre con la Suite n.2  dal balletto Spartacus di Aram Il'ič Chačaturjan (1903-1978): colpito dalla fatwā - così come Sergej Prokof’ev, e successivamente entrambi riabilitati - del Comitato Centrale del PCUS del 10 febbraio 1948 in quanto “le perversioni formalistiche e le tendenze antidemocratiche sono particolarmente appariscenti nelle sue opere”, Chačaturjan, compositore sovietico di origine armene, nel 1954 inizia la composizione del balletto, opera celebrativa della mitica rivolta degli schiavi capeggiata dal gladiatore trace, scoppiata nell’anfiteatro di età repubblicana di Capua nel 73 a.C.. Dietro il paravento celebrativo dell’esaltazione della rivolta degli oppressi, allegoria della rivolta del popolo russo contro la precedente dinastia zarista dei Romanov, non è peregrino individuare una sottile e malcelata critica dello stesso compositore nei confronti dell’oppressione, culturale e sociale, del tirannico regime sovietico. L’eterogenesi dei fini trova nell’Arte l’alveo di manifestazione più appropriato.

Dal balletto Chačaturjan ricaverà ben tre Suite: questa sera Juraj Valčuha e l’Orchestra del San Carlo propongono la Suite n. 2, che si apre con il celeberrimo Adagio di Spartaco e Frigia, con il tema principale introdotto dagli archi dal pronunciato empito lirico-sentimentale. E si avverte un abbandono deciso alle volute melodiche post-romantiche del tema nella lettura di Valčuha: l’orchestra, la sezione degli archi in modo particolare, canta distesa, procedendo lentamente, con passo a tratti quasi trattenuto, sospiroso, con fraseggio scolpito da un continuo cangiar di dinamiche e accenti. La temperatura si arroventa con i sincopati delle scene successive - Entrata dei mercanti- Danza di una cortigiana romana - Danza generale; Entrata di Spartaco - Lite - Tradimento di Armodio; Danza dei pirati -, laddove l’Orchestra, scintillante, precisa, con sonorità luminose in tutte le sezioni, con possenti ottoni, sfolgorante nelle prime parti (ottimi gli assoli del primo violino di spalla e del primo clarinetto!) dà vita a una esecuzione improntata a una ritmica ostinata, farcita di ossessivi sincopati, di reminescenze musicali armene.

Perfetto il bilanciamento tra le sezioni orchestrali, così come la cura dei particolari e il cesello sonoro di percussioni e legni per una partitura traboccante di energia ritmica e orchestrale; una complessa prova di tenuta orchestrale superata, come è prassi, a pieni voti.

Quando nel 1938 Sergej Prokof’ev riceve dal cineasta Sergej Ejzenstejn l’incarico di scrivere la colonna sonora per un film su Aleksander Nevskij, la II Guerra Mondiale non è ancora iniziata; la terribile e folle “Operazione Barbarossa” ordinata da Hitler contro l’Unione Sovietica di Stalin era ancora di là da venire, eppure il conflitto covava nell’aria già ammorbata dall’espansionismo del Terzo Reich: i venti di guerra spiravano prepotenti anche sul territorio che costituirà il fronte russo del conflitto. Il 23 agosto 1939 viene siglato tra von Ribbentrop e Molotov il patto di non aggressione tra il Reich nazista e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche: Sergej Prokof’ev e Sergej Ejzenstejn, da artisti, intravedono con largo anticipo l’evolversi degli eventi. L’orrore della guerra, la sofferenza che essa comporta, il dolore dell’umanità che residua dopo la strage dei valori di civiltà pervade la Cantata per mezzosoprano, coro e orchestra Aleksandr Nevskij, op. 78 (prima esecuzione, 1939): sembra quasi che il tratto celebrativo dell’eroe nazionale Aleksandr Nevskij ceda il passo davanti alla riflessione sul luctus derivante dalla guerra, seppur difensiva. Trascorreranno solo pochi anni dalla composizione di questa tenebrosa cantata e tante madri russe vivranno il dolore declamato dal mezzosoprano nell’episodio Il campo dei caduti.

La lettura di Juraj Valčuha dà maggior risalto alla tinta lugubre e riflessiva della partitura rispetto a quella celebrativa della vittoria finale del popolo russo: gli echi della vittoria si ascoltano, ma appaiono velati dal ricordo degli orrori attraverso i quali il popolo russo alla cacciata degli invasori. La predilezione per i colori orchestrali cupi e per una agogica distesa sono evidenti sin dalla prima scena - La Russia sotto il giogo dei Mongoli - il Molto andante per sola orchestra, incipit emotivo dell’intera cantata. Con la Canzone su Aleksandr Nevskij il Coro del San Carlo, sul quale poggia gran parte dell’ardua partitura, dà inizio a una esecuzione improntata a un’interpretazione di grande suggestione, dalla tinta chiaroscura, ma luminosissima quanto a resa, per precisione, amalgama del tutto, intensità, compattezza e coesione tra sezioni maschili e femminile. Un lavoro di fine cesello quello condotto in sede di preparazione dalle mani del direttore Josè Luis Basso, il quale, di concerto in concerto, sembra trasmettere al proprio coro quell’energia musicale e quell’entusiasmo dal quale è animato.

Orchestra e coro trovano accenti e colori quasi terrificanti nel successivo I crociati a Pskov, nubi sonore che si diradano nel successivo allegro risoluto del Insorgi, popolo russo!, dov’è più evidente l’intento propagandistico del film di Ejzenstejn e della Cantata scenica di Prokof’ev: orchestra e Coro procedono con solennità, con colori orchestrali acuminati che trovano la loro acme nell’episodio de La battaglia sul ghiaccio. 

La gemma dell’intera serata e della Cantata Aleksandr Nevskij la rinveniamo nell’adagio per mezzosoprano e orchestra Il campo dei caduti: Ekaterina Semenchuck guadagna il vasto palcoscenico, pochi gesti, apre bocca ed è subito teatro. Il suo canto sgorga dal profondo della disperazione: può ben essere quello di una madre di un caduto del lungo assedio di Leningrado o della macelleria di Stalingrado. Sconvolgente per intensità interpretativa, per varietà di accenti, per dominio della tessitura, dal colore profondo e barbarico in basso e brunito nel centro e in alto. Il grande mezzosoprano bielorusso accompagna con una gestualità teatrale le parole intrise di commozione mista a barlumi di speranza (“Attraverserò il campo ammantato di neve. Sorvolerò il campo della morte..” (…) “E per qual bravo giovane che è rimasto in vita io sarò una vera moglie, e un’amica appassionata”). L’orchestra stende un tappeto sonoro livido, sul quale si adagia e dal quale plana la trenodia della Semenchuck. Una meravigliosa e intima fusione tra orchestra e voce umana.

Dopo questo intenso bozzetto musicale, si giunge al possente e necessariamente celebrativo episodio de L’entrata di Aleksandr Nevskij a Pskov: coro e orchestra si presenta al loro meglio per volume e intensità emotiva in un inno contro l’invasore: “I nemici non vedranno mai le città e i campi della Russia, coloro che marceranno contro la Russia verranno uccisi. A una festa trionfale intervenne tutta la gente russa. Celebrate e cantate la nostra madre terra”. Qui la musica si fa futuro: ci proietta nella Berlino del maggio 1945 conquistata dai Sovietici. Il canto del trionfo è il suggello a una serata di grande emozione, a un’eccelsa performance delle masse artistiche del San Carlo, affiatate e perfettamente speculari nel duello sonoro tra coro e orchestra che potrebbe individuarsi nella Cantata Aleksandr Nevskij: una prova musicale e un ingente sforzo vocale superati a pieni voti dalla due compagini sancarliane.

Al termine, sotto il cielo dell’estate napoletana, successo convinto e applausi prolungati.