L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Requiem aeternam

  di Stefano Ceccarelli

Il teatro dell’Opera di Roma propone un bel concerto in serata unica dove si esegue, nella suggestiva cornice del Circo Massimo, la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi. A dirigere è Myung-Whun Chung; i solisti sono: Krassimira Stoyanova, Daniela Barcellona, Saimir Pirgu e Michele Pertusi.

ROMA, 24 luglio 2021 – Sotto un romantico cielo stellato, attraversato da una luna quasi nella sua massima pienezza, sullo sfondo delle rovine dietro al Circo Massimo, il Teatro dell’Opera di Roma allestisce un concerto, una serata unica in cui viene eseguita la Messa da Requiem di Giuseppe Verdi. Sul podio sta Myung-Whun Chung, direttore ben noto al pubblico romano soprattutto per la sua lunga collaborazione con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Chung legge l’intensa partitura verdiana con afflato, senso della coerenza e con un’energia inconfondibile, che promana da un gesto sicuro ma mai strappato o teatrale nel senso deteriore del termine. La drammaticità che ricerca Chung con sapienza, invece, è proprio la teatralità autenticamente verdiana e laica dell’intera partitura. Chung dirige l’orchestra con idee chiare e ben porte, a cominciare dai momenti di sussurro della partitura fino a quelli che esplodono nella più prorompente energia. Ciò accade, certamente, nell’attacco del Dies irae , che si potrebbe prendere a modello dell’ideale agogico di Chung: un gesto chiaro e profondo, ma mai strappato, lasciato andare. Del pari, Chung gestisce magnificamente coro e solisti. L’unico, vero problema di questa esecuzione è l’acustica, veramente proibitiva, che fa perdere una buona parte di sfumature, specialmente quando la partitura richiede passaggi in pianissimo : un vero peccato. L’orchestra esegue fedelmente l’idea di Chung e si distingue per una buona resa, soprattutto nelle parti più delicate, come gli ottoni; complimenti, dunque, agli ottoni che hanno eseguito le trombe del Giudizio Universale nell’attacco del Tuba mirum spargens sonum – passaggio di cui Verdi si ricorderà nel finale III dell’ Otello , all’arrivo della delegazione veneziana. Il coro, del pari, si lascia complessivamente apprezzare, tranne qualche passaggio più soffuso, che avrebbe probabilmente richiesto maggior tatto (per esempio nel Kyrie ). Piacevolissime le esecuzioni, a voce spiegata, del celeberrimo Dies irae e del Sanctus .

Il cast degli interpreti è di livello assoluto. Krassimira Stoyanova esegue la parte del soprano con perizia: gli acuti sono pieni e penetranti, la voce si staglia voluminosa sopra gli altri interpreti, ove la parte del soprano lo richieda. Nei duetti e nei pezzi d’assieme si armonizza magnificamente con i colleghi: citerei solo l’eccellente esecuzione dell’etereo Agnus Dei , assieme a Daniela Barcellona. Le doti drammatiche della Stoyanova si sono potute ammirare tutte assieme nel finale Libera me , la cellula da cui l’intera messa prese forma. L’aria del soprano, infatti, è tutta giocata su filati, sussulti e immediate sferzate nella tessitura alta, elementi da dosare, tutti, con cautela, cosa che riesce sicuramente alla Stoyanova, che si dimostra a suo agio anche nelle più basse tessiture della corda del soprano – come ha testimoniato il finale, debitore della scena finale di Aida , quando Amneris invoca pace sulla tomba di Radames e della principessa etiope. L’altra voce femminile, Daniela Barcellona, regala del pari una performance straordinaria. Non si tratta, solo, della naturale bellezza della voce o dell’autentica facilità d’emissione, ma pure del gusto per il fraseggio drammatico, doti di chi è un’interprete intelligente. Basti citare la sua aria, il Liber scriptus proferetur , dove la Barcellona deliba gli accenti profetici e apocalittici del testo con impareggiabile gusto per le sfumature cromatiche e la modulazione della voce. Saimir Pirgu esegue con squillo e perizia la parte tenorile, regalando acuti potenti e centrati, ma essendo anche in grado di giocare in maniera raffinata col fraseggio: lo dimostra nella sua aria, l’ Ingemisco tamquam reus , dove regala anche passaggi eterei (si pensi al verso «inter oves locum praesta»). Michele Pertusi si conferma uno dei più dotati ed eleganti bassi oggi in circolazione. Una voce squillante e cavernosa, duttile e pronta a piegarsi a un fraseggio di gusto impareggiabile, è il mezzo con cui Pertusi scolpisce una performance indimenticabile: come non ricordare la sua aria, Confutatis maledictis , dov’è presente non solo l’incondizionata sottomissione dell’orante, ma anche il tremore delle fiamme infernali, un mix di emozioni che traspaiono nel canto di Pertusi. I quattro interpreti si destreggiano con maestria anche nei vari pezzi d’assieme del Requiem : come non ricordare lo splendido Domine Jesu .

Alla fine del Libera me il pubblico esplode in un applauso sincero e roboante, a testimonianza dell’ottimo esito della serata.


 

 

 
 
 

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