Napoli e il suo Santo

di Luigi Raso

La settecentesca Cantata per San Gennaro di Gaetano Manna, sotto la direzione di José Luis Basso, è una riscoperta che reinaugura la tradizione della celebrazione musicale del patrono partenopeo nel segno della gloriosa scuola napoletana. La serata, purtroppo, è anche segnata dal commovente ricordo del direttore di palcoscenico del San Carlo Salvatore Giannini, scomparso prematuramente e improvvisamente il giorno stesso.

NAPOLA 30 settembre 2021 - Siamo quasi portati a credere che la scoperta, la ricostruzione e la riproposizione in prima esecuzione moderna della Cantata per soli, coro e orchestra “in occasione della Traslazione del Sangue del Glorioso San Gennaro” composta dal compositore napoletano Gaetano Manna (1751 – 1804) sia attribuibile alla tenace volontà e all’intercessione proprio del Patrono di Napoli, San Gennaro. Difficile, infatti, immaginare una ricostruzione di un manoscritto musicale più avventurosa di questa, così intrecciata con eventi storici, ricostruzioni e rinascite. Di San Gennaro Alexandre Dumas (padre) scriveva “...tutti i re e tutti i governi passeranno, e in sostanza non rimarranno se non il popolo e san Gennaro...” (Le Corricolo). Ecco, di San Gennaro ci è rimasta anche questa Cantata, emersa da una delle Abbazie benedettine più importanti al mondo.

Una breve digressione e solo pochi fatti per rendere l’idea del “prodigio” del recupero. La Cantata per San Gennaro, composta nel 1788, entra a far parte del patrimonio libraio dell’Abbazia di Montecassino. Nel 1944 l’Abbazia di Montecassino è rasa al suolo da pesantissimo bombardamento degli Alleati: due ufficiali tedeschi, intuito l’imminente distruzione del plesso monastico, si erano adoperati per mettere in salvo l’ingente patrimonio artistico e culturale dell’Abbazia benedettina. Tra i beni sottratti alla distruzione delle bombe vi era anche la Cantata di Gaetano Manna.

Ma non finisce qui. Molto più recentemente il maestro Ivano Caiazza, musicista del Teatro San Carlo, si è messo alla ricerca del manoscritto della partitura nell’archivio dell’Abbazia: il testo letterario, però, non risulta essere sempre presente e chiaro. Tuttavia il maestro Caiazza ritrova nella Biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Majella – uno scrigno di tesori musicali e non solo che non ha pari al mondo! – proprio il libretto della Cantata che, nel 2005, il maestro Roberto De Simone donò, insieme alla propria collezione di libretti, al Conservatorio di Napoli. È così stato possibile “riunificare” musica e testo et voilà la Cantata ha ripreso a vivere stasera.

Nel frattempo il San Carlo e, in particolare, il suo Direttore del Coro, maestro José Luis Basso, pensano bene di ripristinare la tradizione dell’esecuzione di una Cantata in onore di San Gennaro: una tradizione rigogliosa nel ‘700, ma che si è perduta nel tempo e che in occasione della Festività di San Gennaro del 2022 vedrà recuperata una Cantata scritta da Pasquale Cafaro (1716 – 1787). Come il maestro José Luis Basso ci ha anticipato nella recente intervista che ci ha concesso (leggi), l’esecuzione di questa sera sarà l’inizio di un nuovo - e si spera costante - percorso di riscoperta e valorizzazione del patrimonio musicale del ‘700 napoletano.

E così la Cantata, scritta più di duecentotrenta anni fa e di cui non sono note altre esecuzioni, viene presentata nel Duomo di Napoli gremito, al netto del distanziamento interpersonale imposto dalle norme anti contagio. È, però, una serata molto triste per la famiglia del San Carlo. Prima dell’inizio, il maestro José Luis Basso, a nome di tutto il Teatro, dedica l’esecuzione a Salvatore Giannini, direttore di palcoscenico del Teatro, scomparso prematuramente e improvvisamente alle prime luci dell’alba del 30 settembre, a poche ore dal termine della prova generale in Duomo al quale aveva preso parte. Una scomparsa improvvisa che ha scioccato ed emozionato tutti lavoratori del Teatro.

Musicalmente la Cantata si presenta quale lavoro di buona fattura, musica celebrativa della Traslazione del Sangue di San Gennaro in occasione del cosiddetto “Miracolo di maggio” del 1788 (la Chiesa non qualifica la liquefazione del Sangue di San Gennaro quale “miracolo”, bensì come “prodigio”).

Sul testo - una debole e improbabile disquisizione teologica tra Fede, Speranza, Amor Divino e Genio Celeste con accenni, ovviamente, a San Gennaro - si innestano arie, duetti, recitativi accompagnati, cori che risentono degli influssi della migliore scuola napoletana. Nel 1788 quell’epopea musicale volgeva al termine; e Gaetano Manna, nipote del più celebre zio Gennaro Manna, non è certamente da annoverare tra gli esponenti più noti e di maggior spicco; eppure questa Cantata si presenta quale un’interessante silloge di stili e stilemi musicali propri di quell’epoca: si ascoltano aria virtuosistiche a la maniera di Porpora e Vinci, il brio di Cimarosa nella Sinfonia, echi del Mozart serio, qualche richiamo alle poderose architetture musicali e sonore degli oratori di Georg Friedrich Händel. Insomma, dell’armamentario musicale settecento, di tutto un po’.

Si ascolta in nuce (Aria del Genio Celeste con Coro) qualche sprazzo di quella esplosione ritmica che di lì a venire costituirà la cifra stilistica di Gioachino Rossini.

Non si è riscoperto sicuramente un capolavoro musicale, ma un’ulteriore opera che attesta ancor ancora una volta i nessi, gli influssi e i riflessi musicali tra quella stagione musicale napoletana e la musica che contemporaneamente si produceva in Europa; un riscoperta, questa della Cantata per San Gennaro, che costituisce l’occasione per riflettere e indagare sui rapporti di debito-credito intercorrenti tra Napoli, il suo Regno e il mondo musicale del ‘700.

Chiuse queste brevi considerazioni e giungendo all’oggi, l’esecuzione diretta da José Luis Basso si connota per l’indubbio merito di aver assicurato, pur in un ambiente acusticamente ostico qual è la Cattedrale di Napoli, un’esecuzione precisa, accattivante sin dalla Sinfonia, che riesce ad attrarre l’attenzione degli ascoltatori sul versante musicale della composizione a dispetto del debole e anacronistico testo letterario-teologico.

Apprezzatissimo direttore di coro, José Luis Basso dimostra di saper guidare e gestir bene anche l’orchestra, così come di essere ottimo accompagnatore, sempre attento alle esigenze del canto: fa cantare l’Orchestra e il Coro, farcendo il discorso musicale di un fraseggio che conferisce all’espansione melodica della Cantata respiro, forza e varietà di accenti.

A impreziosire l’esecuzione un eccellente quartetto solistico, nel quale spiccano Maria Grazia Schiavo (Speranza), sempre a suo agio in virtuosismi, acrobazie vocali e acuti, e la purezza timbrica e la morbidezza d’emissione del sopranista Federico Fiorio (Amor Divino). Fanno bene anche Lucia Cirillo (Fede), mezzosoprano sempre preciso e calibrato, e Diego Godoy, dotato di voce tenorile dal bel timbro ma che tende a sforzare eccessivamente l’emissione. Molto bene il Coro e i suoi soli - Giuseppina Acierno, Valeria Attianese, Silvia Cialli, Annamaria Napolitano, Armando Valentino - nei brevi interventi che riserva loro la partitura.

In definitiva, una piacevole riscoperta, l’inizio di un nuovo percorso di valorizzazione dell’immenso patrimonio musicale napoletano che dorme nelle biblioteche della città di Napoli in attesa di un recupero musicologico organico.

Al termine, l’esecuzione è salutata da applausi prolungati da un pubblico attento, accorso numeroso nel Duomo per ascoltare una Cantata dedicata al proprio Santo Protettore, quel San Gennaro che, scrive sempre Alexander Dumas, “...non sarebbe esistito senza Napoli, né Napoli potrebbe esistere senza San Gennaro”.