Una catartica Resurrezione

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia apre la stagione concertistica 2021/2022 con la Sinfonia n. 2 “Resurrezione” di Gustav Mahler. Ad eseguirla Jakub Hrůša alla testa dell’orchestra e del coro dell’Accademia; eseguono le parti solistiche Rachel Willis-Sørensen e Wiebke Lehmkuhl. L’eccellente qualità dell’esecuzione rende il concerto perfetto per aprire la stagione.

ROMA, 9 ottobre 2021 – Recentemente nominato direttore ospite principale dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Jakub Hrůša apre la stagione concertistica con l’esecuzione della monumentale Seconda di Mahler. Le motivazioni della scelta sono molte e non risiedono solo nell’evidente messaggio beneaugurante che una “Resurrezione” può portare a un settore così crudelmente colpito dalla pandemia come quello artistico; Hrůša stesso, nella sua intervista rilasciata sul programma di sala, nota come la Seconda permetta non solo all’orchestra, ma anche al coro di brillare in una composizione dal respiro monumentale. L’attenzione a tutte le componenti di una istituzione musicale denota sensibilità da parte del direttore e della direzione musicale ceciliana.

La sensibilità di Hrůša nei riguardi del linguaggio mahleriano è palpabile fin dall’esecuzione scultorea, marmorea, del I movimento, l’Allegro maestoso, una sinfonia quasi a sé stante. Il cèco non ha timore di gonfiare l’orchestra facendo percepire l’epica intelaiatura di molte parti, come pure l’argillosa trama delle sezioni più intimistiche, di tanto in tanto squarciate da una certa luce. L’amore di Hrůša per la musica di Mahler, del resto, è dichiarato apertamente nella succitata intervista, dove il direttore rammenta di provenire dalla stessa regione dove nacque Mahler (la Boemia). Ciò che è veramente difficile nel dirigere Mahler è rendere adeguata giustizia ad ogni sua idea, ma anche adeguato respiro alla sua musica: una musica che sembra espandersi fin quasi a perderne il filo conduttore e a far affiorare un senso, quasi, di vertigine. Hrůša rende ben chiaro il discorso generale di una lettura uniforme, come si vede nei tre movimenti ‘brevi’ successivi al primo. Il secondo, l’Andante moderato, è una danza onirica, che il direttore legge con il giusto afflato coreutico, giocando con i rimandi beethoveniani, i quali si incistano in brevi momenti melodici che sembrano affiorare come in una sorgente di acqua tersissima. Nel terzo, Hrůša traduce quel senso di «esperienza del sempre diverso, ma sempre identico, di una situazione insensata che è vano tentar di mutare» (P. Petazzi, dal programma di sala) che caratterizza la ricerca di contrasti, anche ironici, centrale nel linguaggio musicale del movimento, un’auto-citazione del lied Des Antonius von Padua Fischpredigt (dal Wunderhorn). Il quarto movimento, il lied Urlicht (ancora tratto dal Wunderhorn), suona etereo, celeste, senza certo obliare una dose di vibrante inquietudine, connaturata al senso di spiritualità mahleriana; la parte solistica è eseguita dal mezzosoprano Wiebke Lehmkuhl, che canta splendidamente, grazie a una tecnica raffinatissima e a un timbro naturalmente pastoso, ambrato, che trasporta l’ascoltatore nella dimensione sinistramente onirica della lirica. Ecco che si giunge al movimento finale, che termina in una climax progressiva culminante in un corale celeberrimo, da cui la Seconda prese il suo iconico nome di “Resurrezione”. Hrůša dirige benissimo il complesso dipanarsi tematico della prima parte del movimento, dove l’orchestra tocca vette di grande spettacolarità, in particolare nella parte degli ottoni evocanti le trombe del giudizio; ma vanno notati anche i passaggi più lirici, dove l’attenzione del direttore all’aspetto timbrico appare più evidente (si pensi alla sezione di passaggio al corale). La seconda parte del movimento, il corale Auferstehung (Resurrezione), che impegna coro e solisti, si dipana ieraticamente in un crescendo che invade progressivamente la psiche dell’ascoltatore, operando qualcosa che si avvicina alla catarsi aristotelica. Tutti gli interpreti sono superlativi: il coro, naturalmente, e le due soliste, che svettano per potenza e grazia del mezzo vocale (la parte sopranile è cantata da Rachel Willis-Sørensen, dall’angelico timbro). Gli applausi finali invadono la sala; Mahler ha fatto ancora innamorare di sé, come pure i suoi odierni interpreti.