Beethoven d’altri tempi

di Antonino Trotta

Per l’inaugurazione di stagione dell’Associazione Lingotto Musica, Jordi Savall dirige i complessi Le Concert des Nations in un’interessantissima esecuzione, storicamente informata, delle Sinfonia n.6 e n.7 di Beethoven.

Torino, 13 ottobre 2021 – È difficile individuare, tra gli scaffali immensi dell’intera letteratura musicale, qualcosa che possa minimamente eguagliare le nove sinfonie di Beethoven. Anche soprassedendo sul loro valore assoluto, qualora qualcuno fosse in grado di quantificarlo, e sulla loro natura di spartiacque e vetta del genere, le nove sinfonie rappresentano degli unica già solo per l’inarrivabile popolarità che le contraddistingue: ancora oggi esse sono fonte inesauribile di studio, di discussione, immancabile banco di prova per qualsiasi tipo di bacchetta, presenza fissa e talvolta asfissiante nei cartelloni di tutto il mondo. Renderle interessanti, a prescindere dalla qualità dell’esecuzione, è quasi impossibile. L’Associazione Lingotto Musica di Torino ci riesce affidando l’inaugurazione della stagione 2021/2022 ai complessi Le Concert des Nations, diretti da Jordi Savall, che della Sinfonia n.6 e n.7 di Beethoven offrono una lettura storicamente informata.

L’indagine di Jordi Savall nella ricostruzione della pratica esecutiva dell’epoca parte «dall’idea fondamentale di recuperare il suono originale e l’organico dell’orchestra così come le immaginò Beethoven, con un ensemble costituito dagli strumenti in uso al suo tempo». I musicisti di Le Concert des Nations, in numero ridotto rispetto alla grandi formazioni moderne – 18 fiati, 32 archi e timpani –, impugnano strumenti originali – ottoni senza pistoni, legni in legno, violoncelli senza puntale – e li accordano secondo il diapason allora in uso (430 Hz): muta dunque il suono nudo e crudo dell’orchestra, meno brillante e più corposo per la diversa intonazione, ma muta anche il rapporto e il peso di ciascuna sezione nell’economia complessiva dell’esecuzione, con i fiati particolarmente in vista e decisamente efficaci in scritture descrittive come quelle della Pastorale. La ricerca di Savall, però, non si limita alla sola questione strumentale ma si estende anche a tematiche di tipo esegetico, come il recupero delle indicazioni agogiche prescritte da Beethoven. Benché ora sia impossibile stabilire se e quanto l’esecuzione offerta da Savall sia effettivamente “uguale all’originale”, certamente l’intrigante prospettiva con cui adesso si guardano la Sesta e la Settima aiutano anche a comprendere quante sovrastrutture la prassi esecutiva abbia ereditato e accumulato nel corso del tempo, soprattutto dal sinfonismo tardo-romantico.

Più che idilliaca, arcadica, la Pastorale appare ora un inno alla natura selvaggia – l’adesione alle indicazioni originali di metronomo si traduce, in poche parole, nell’evitare di allargare i tempi e di sfibrare il tessuto ritmico della sinfonia – e incontaminata. I nuovi equilibri e la nuova tinta dell’orchestra da un lato, il passo svelto della direzione dell’altro, rivitalizzano il potere evocativo della narrazione musicale, accentuano la nitidezza di quei ricordi di vita campestre di cui il dettato strumentale è custode. Certo, non si è abituati ad ascoltare Szene am Bach senza le grandi arcate legate o le sfumature in pianissimo impercettibile, a vedere in primo piano l’usignolo, la quaglia e il cuculo – flauto, oboe e clarinetto rispettivamente – cinguettare talvolta anche in maniera grossolana, però la Tempesta irrompe con una forza sconvolgente, inquieta per il sinistro sibilo dell’ottavino, spaventa col prepotente rombo dei corni, suggestiona e affascina come se si ascoltasse la Sesta per la prima volta. Nella Settima c’è meno da colorare e il gioco pittorico della musica non trova pane per i suoi denti. Ecco allora che l’eccitata pulsione ritmica con cui Savall anima sinfonia diviene colonna portante dell’intera concertazione: con una pallette dinamica che procede a gradini distinti, l’accentazione spesso violenta della metrica – specialmente quando si tratta dell’ossessivo andamento dattilo-spondeo dell'Allegretto – conferisce alla Settima mordente e vitalità, esasperando l’esaltazione della danza e offrendo una lettura a tratti primitiva e orgiastica di grande impatto.

Avremmo voluti tutti un bis ma i fiati imploravano pietà. Gli applausi entusiasti di un Auditorium Giovanni Agnelli finalmente pieno festeggiano il meritato successo per questa prima di indubbio valore.