L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Solenne oggettività

di Luigi Raso

Al San Carlo José Luis Basso dirige il Requiem di Mozart con i complessi del teatro un eccellente quartetto di solisti (Selene Zanetti, Marianna Pizzolato, Antonio Poli, Mirco Palazzi)

NAPOLI, 27 ottobre 2021 - Commissionato da un lugubre messaggero di morte, veneficio dell’autore ordito da un collega invidioso: sono questi gli elementi principali di cui si è nutrita la leggenda nera che ha ammantato la genesi della composizione del Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart. Nulla di più falso, come la storiografia ha dimostrato; eppure è difficile estrarre dalla composizione estrema del genio salisburghese il fascino dell’opera incompiuta, la suggestione dell’immagine della mano dell’artista fermata dal destino sulle battute del Lacrimosa.

E poi c’è il film Amadeus (1984) di Miloš Forman a tradurre in immagini gli ultimi momenti di Mozart, l’enfatizzazione della composizione febbrile e, soprattutto, il coacervo di leggende (più correttamente, dicerie) sorte intorno alla morte prematura di Wolfgang Amadeus Mozart.

Di queste sovrastrutture e dei conseguenti eccessi di pathos che hanno connotato la prassi esecutiva del capolavoro estremo di Mozart fa strame la lettura di José Luis Basso, direttore del Coro del Teatro San Carlo, impegnato per l’occasione anche nelle vesti di direttore d’orchestra.

Sin dall’Introitus si ha la sensazione di trovarsi davanti a una lettura estremamente oggettiva, depurata da sentimentalismo e drammaticità, ma che intende mettere in luce e marcare sonoramente il sostegno della linea armonica del basso, la parte dei tromboni, l’incisività dei timpani: famiglie strumentali che, nella traduzione in suoni dell’architettura della partitura, si ascoltano in primo piano, come a voler dare l’idea plastica di dover sorreggere il peso dell’intero edificio musicale.

Linee melodiche sempre individuabili, agogica improntata a solennità di passo, poca concessione al rubato, restituiscono un’immagine asciutta e oggettiva del Requiem, che tendenzialmente rifugge da slanci emotivi e da repentini mutamenti di accenti.

Analizzando l’eccellente performance del Coro, ad emergere è il lavoro di alleggerimento sonoro che si nota in più occasioni (Voca me cum benedictis del Confutatis, a titolo di esempio), consono alla prassi esecutiva di una composizione che ha i suoi piedi saldati nell’ultimo scorcio del ‘700; la versatilità esecutiva che dimostra la compagine corale sancarliana potrebbe indurla ad affrontare assiduamente anche il grande repertorio settecentesco, in genere poco frequentato dai Cori dalla vocazione strettamente operistica. Si ascolta, in questo Requiem, infatti, una tendenziale pulizia e compattezza dei registri vocali del Coro: quello basso, più evanescente quanto a peso sonoro, è in questa occasione compensato dallo spessore e dalla preminenza dell’omologo orchestrale. I distanziamenti - tra i coristi e tra l’intera compagine corale e l’orchestra - tuttavia, creano qualche squilibrio sonoro: nel corso dell’esecuzione l’orchestra risulta fonicamente predominante, offuscando quel raffinato ed encomiabile lavorìo di cesello operato sul Coro da José Luis Basso. Incisivo ed affrontato con composto rigore è il Lacrimosa, probabilmente il momento più iconico dell’intera composizione, l’ultimo scritto dalla mano di Mozart.

Molto ben assortito ed eccellente il quartetto solistico che schiera la voce pura e luminosa di Selene Zanetti (soprano), reduce dal recente successo come Mimì nella Bohème (eggi la recensionele), il caldo velluto vocale e l’aderenza stilistica di Marianna Pizzolato (mezzosoprano), la baldanza vocale del tenore Antonio Poli, la nobiltà della linea di canto e il bel timbro argenteo del basso Mirco Palazzi.

Al termine, la sala, ancora una volta gremita in ogni ordine di posto, saluta tutti i protagonisti dell’esecuzione con applausi prolungati, festanti e convinti.

A Napoli la festa per la riapertura dei teatri al 100% di capienza è in pieno svolgimento!


 

 

 
 
 

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