Puro romanticismo

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia vede il debutto di Philippe Herreweghe come direttore della sua orchestra in un concerto tutto romantico: il Concerto in la minore per pianoforte e orchestra op. 54 di Robert Schumann e il Sogno di una notte di mezza estate op. 61 di Felix Mendelssohn Bartholdy. Al pianoforte siede Alexander Lonquich.

ROMA, 29 ottobre 2021 – Alla sua prima apparizione come direttore dell’orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Philippe Herreweghe sostiene un programma interamente romantico. Si inizia, infatti, con il Concerto per pianoforte di Schumann, pagina celeberrima della produzione pianistica romantica. Allo strumento siede Alexander Lonquich, ben noto al pubblico romano. Herreweghe imprime un’agogica rigorosa, ma che sa ammorbidire i passaggi più sfumati e ricchi di colore, senza perdere la tensione dell’intelaiatura ritmica; gli attacchi sono, dunque, energici, gli abbrivi decisi, ma molti passaggi corrono sfumati. Herrewege ha molta sensibilità, infatti, anche al dato cromatico, che abbonda in ambedue le partiture e che nel pezzo di Schumann si concretizza in una tavolozza chiaroscurale, più o meno marcatamente malinconica. Il direttore esalta la scrittura di legni e archi, che costituiscono la nerbatura coloristica di questa partitura. Lonquich, da par suo, è in totale armonia con direttore e orchestra. Il suo è un tocco genuino, sanguigno, naturalissimo; Lonquich non risulta mai artificiale né sforzato, al contrario il suo pianismo scorre come acqua limpida. L’Allegro affettuoso dimostra la sua abilità nel donare giusta dolcezza all’indimenticabile tema schumanniano, come pure ai passaggi in mutevole dialogo con l’orchestra. Questo concerto di Schumann non presenta tanto difficoltà virtuosistiche, quanto interpretative: e Lonquich in questo è maestro. Il II movimento (Intermezzo. Andantino grazioso) ne è ulteriore dimostrazione, col suo tema a volte cullante, a volte dolcemente puntato, che arpeggia delicatamente: anche qui Herreweghe e Lonquich sono in perfetta armonia e il risultato è eccellente. Uno dei momenti di maggiore emozione dell’intera serata è il III movimento, l’Allegro vivace, dall’impianto squisitamente sinfonistico, uno di quei pezzi inconfondibilmente schumanniani, in cui l’orchestra svetta epica e il pianoforte sillaba trionfante lo stesso tema, ornato di passaggi e scale in variazioni sempre cangianti. Il pubblico applaude soddisfatto; Lonquich regala un’esecuzione ottima dell’Improvviso n. 2 di Fryderyk Chopin.

La seconda parte della serata è dedicata al Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn, in una veste inusuale; l’opera, in genere eseguita non più come musica di scena ma come suite orchestrale, riacquista una veste più marcatamente teatrale grazie alla regia di Valter Malosti. Figura poliedrica di regista e attore, Malosti alterna i vari pezzi dell’opera di Mendelssohn con letture tratte in primis dal Midsummer Night’s Dream di Shakespeare, ma anche dalle Metamorfosi di Apuleio e da un’opera di Filippo Tuena, Com’è trascorsa la notte. Herreweghe dirige il Sogno con incredibile energia, rendendo carne viva le splendide note mendelssohniane, magicamente frizzanti. L’agogica è sempre adatta al senso del pezzo, mai troppo larga né troppo stretta. Esempio lampante ne sono i passaggi quasi in tremulo degli archi dell’Overture, dove l’orchestra riesce ad evocare, quasi, la brina di una foresta incantata. Capolavoro di direzione millimetrica è lo Scherzo, di bellezza cristallina, ed altrettanto delicato; deve essere trattato con la massima cura e Herreweghe dosa benissimo ritmi, intensità, accenti; così pure nella successiva Marcia degli Elfi, una perla di gioiosa melodiosità. Indimenticabile anche la resa delle atmosfere del Notturno, dove i corni cullano un motivo che sa di cavalleresco, fiabescamente medievale; come non citare, poi, il pezzo più celebre di tutti, la Marcia nuziale? Herreweghe, facendo uscire il pezzo da un’abusata tradizione esecutiva, gli restituisce la dignità regale che gli appartiene, marcando gli accenti e depurando, quasi, il brano dall’eccessivo ‘miele’. I pezzi corali, poi, sono tra i più bei momenti della performance (il Coro degli Elfi e il Finale); il coro di Santa Cecilia canta divinamente le note della ninna-nanna per la regina Titania, giocando con le cromature di pezzi di incredibile evocazione: soliste sono Sara Fiorentini e Roberta De Nicola. Il concerto termina in calorosi applausi, imprimendo nella memoria degli spettatori il debutto romano di Philippe Herreweghe, che si spera possa ritornare quanto prima.