Dal classico alle brine del nord

 di Stefano Ceccarelli

Sir Antonio Pappano ritorna all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che da anni è un po’ una sua seconda casa. Il programma è attraente: l’ouverture dal balletto Le creature di Prometeo op. 43 di Ludwig van Beethoven, il Concerto n. 9 in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra K 271 “Jeunehomme” di Wolfgang Amadeus Mozart e la Sinfonia n. 1 in mi minore op. 39 di Jean Sibelius. Il concerto di Mozart è eseguito da Daniil Trifonov.

ROMA, 26 novembre 2021 – Il ritorno del maestro Antonio Pappano a capo della sua orchestra si è tradotto, al solito, in un concerto di altissimo livello, che si è aperto con l’ouverture da Le creature di Prometeo dall’omonimo balletto di Ludwig van Beethoven. Un pezzo, questa ouverture, che Pappano ha già proposto al pubblico romano, un pezzo perfetto per aprire un concerto. La scrittura di Beethoven, infatti, vibra della consueta energia coreutica – una firma del compositore –, ma immersa in un’atmosfera galante, brillante; tutti colori ben colti da Pappano e dalla straordinaria orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, la quale sa carpire ogni sfumatura sonora della partitura.

Dopo l’apertura beethoveniana, il primo tempo è tutto occupato dal concerto “Jeunehomme” di Mozart; al pianoforte siede Daniil Trifonov, artista ben noto al pubblico romano, presso il quale ha sempre riscosso il più grande apprezzamento. Così è anche questa volta. Trifonov, noto anche per sue interpretazioni ‘vigorose’ del repertorio tardo romantico e novecentesco, offre qui un lato forse meno noto di lui, cioè l’abilità di calarsi in un’atmosfera brillante, puramente mozartiana. Lo fa dosando al millimetro il volume della tastiera, servendosi parcamente della pedaliera proprio per dare l’impressione di una maggiore naturalezza e limpidezza; cura una lettura fresca di pagine molto note, giocando qua e là con la memoria degli spettatori e proponendo soluzioni originali, personali, nel marcare più o meno nettamente un passaggio. Ne esce una lettura piacevolissima, una performance che illumina la rosata scrittura mozartiana. Esempio mirabile è l’Allegro (I), dove l’armonia fra Trifonov e Pappano è limpida e ammirabile. Il direttore, infatti, imposta un’agogica brillante, tesa a far emergere sia la scrittura pianistica che quei divini momenti di incontri timbrici che essa crea con l’orchestra. Trifonov legge brillantemente il tema principale e con scioltezza si muove nelle varie variazioni (indimenticabili, per finezza e gusto, i trilli). L’interprete, poi, mostra tenera delicatezza nell’esecuzione dell’Andantino, un pezzo esemplare di bellezza musicale; il direttore culla le languide frasi dello strumento. Eccellente il tempo nell’attacco del Rondò, dove Trifonov cavalca con rutilante energia una scrittura assai più spedita; fra spirali di riprese ed eccitanti variazioni, il concerto giunge alla fine, salutato con un caloroso applauso. Applausi, quelli per Trifonov, che non accennano a smettere: il russo regala allora, come bis, il Rondo n. 2 in D Minor H. 290 di Carl Philipp Emanuel Bach, un pezzo di notevole agilità e brillantezza.

Il secondo tempo vede l’esecuzione della Prima di Sibelius. Pappano è particolarmente versato nel repertorio tardoromantico e dona una lettura vivida, vigorosa, a tratti commovente della sinfonia; l’orchestra esplode di suoni e melodie, di cui questo pezzo abbonda in maniera particolare. Il I movimento rimane impresso per l’abilità con cui Pappano fa risaltare il celebre tema, che tanto evoca l’estremo nord dell’Europa – firma inconfondibile della musica di Sibelius. Del II movimento, l’Andante, rimane impressa l’abilità di Pappano di muoversi all’interno di una tessitura melodico/ritmica cangiante e più volte screziata, in diversi passaggi. Nello Scherzo (III) l’orchestra esalta la scrittura contrappuntistica e l’agogica di Pappano è serrata a conferire la massima energia ritmica al pezzo. L’ultimo movimento (IV) è di notevole grandezza (non a caso porta il sottotesto di: Quasi una fantasia) e Pappano lo legge assecondando le variazioni coloristiche, volumetriche e melodiche volute dall’autore: dopo un lungo sviluppo, il finale propriamente detto è sciolto dal direttore in un culmine che si spegne, quasi, in un soffio. Gli applausi generosi suggellano una serata di livello assoluto.