Fra Classici e Romantici

di Luigi Raso

Michele Mariotti dirige Beethoven e Schumann con intelligenza ed energia al Teatro di San Carlo, replicando il successo del concerto di pochi giorni prima.

Napoli, 3 dicembre 2021 - Promana luce, brillantezza e serenità la tonalità di do maggiore sulla quale è costruita la Sinfonia n. 1, op. 21 di Ludwig van Beethoven che apre l’appuntamento sinfonico che vede Michele Mariotti impegnato, nel mezzo delle repliche del fortunato Otello inaugurale, alla testa dell’Orchestra del San Carlo. Dopo von Weber, Mozart e Beethoven del precedente e recente concerto sancarliano (leggi la recensione), il direttore pesarese sceglie un programma dedicato a due “prime” sinfonie, del genio di Bonn e di Robert Schumann.

Composta da Beethoven tra il 1799 e il 1800, è la sinfonia meno “beethoveniana”, quella che maggiormente risente delle ascendenze settecentesche, di Haydn in particolare e, in misura minore, di Mozart. I tratti genetici di questa Sinfonia giovanile sono immediatamente ben chiari a Mariotti, il quale le imprime, sin dall’ Allegro con brio che segue l’Adagio molto iniziale, spirito e corrosiva levità settecentesca che rendono l’interpretazione un susseguirsi incessante di accenti esuberanti, sonorità oggettive, tempi e dinamiche serrate; un flusso musicale inarrestabile che si placa momentaneamente nell’Andabile cantabile con moto del secondo movimento, dominato da un fraseggio orchestrale tanto spontaneo e immediato quanto rifinito nella cura dei particolari. L’energia vitale, bruciante e genuina, che costituisce il tratto saliente della Sinfonia e di questa interpretazione riappare nei successivi movimenti, Minuetto. Allegro molto e vivace e Adagio - Allegro molto e vivace. E nell’Allegro conclusivo s’intravede il Mariotti profondo conoscitore e grandissimo interprete rossiniano: staccando tempi serrati, grazie a un’orchestra compatta, tendenzialmente precisa e molto duttile, immerge l’intero movimento in una spirale di luminosa, esuberante joie de vivre, animatadal dialogo fitto tra le famiglie strumentali. Si ascolta una luminosità sonora “italiana”, cesellata con cura, con le linee melodiche ben in luce.

A distanza di quarant’anni dalla prima Sinfonia di Beethoven a cimentarsi con la regina delle forme sinfoniche è Robert Schumann: ispirata da un’ode del poeta Adolf Böttiger - da cui il titolo “La primavera” – l’opera è pervasa da una palpabile brillantezza, squarciata da momenti di struggente intensità e rarefazione sonora (Larghetto del secondo movimento); si chiude con una fanfara esuberante di trombe e corni, che traduce in musica il momento felice della vita di Robert Schumann durante il quale la Sinfonia prese forma. Come per la precedente sinfonia beethoveniana, Mariotti individua nella vitalità la cifra connotativa della composizione abbandonandosi ad essa. Coniuga magistralmente l’intensità romantica del secondo tempo con l’incisività dello Scherzo con i suoi due Trii, fino a sfociare nell’esplosivo Allegro animato e grazioso che, nel richiamare elementi tematici del primo movimento, sembra conferire alla Sinfonia una forma circolare, che racchiude e ricicla incessantemente l’energia sprigionata dagli accordi iniziali. Mariotti ha ben chiaro il rapporto speculare tra ultimo e primo movimento della sinfonia: infatti, si notano affinità tra l’Allegro molto vivace iniziale e l’Allegro animato e grazioso finale, il quale, nella contrapposizione dinamica, evoca un andamento danzante e dionisiaco.

Ottima la prova dell’orchestra, sempre pronta ad “accendersi” al gesto chiaro e invitante di Michele Mariotti così come ad distendersi in abbandoni lirici, a ricamare densi fraseggi.

Al termine, il pubblico, non folto come il concerto avrebbe meritato, tributa applausi calorosi a Michele Mariotti e all’orchestra del San Carlo.

Una nota: il direttore trascina alla ribalta Sisto Lino D’Onofrio, ottimo primo clarinetto dell’orchestra, il quale, emozionatissimo, riceve applausi prolungati dal pubblico e abbracci da Mariotti.