Salvare il Natale

di Lorenzo Cannistrà

Al Teatro alla Scala va in scena il tradizionale Concerto di Natale: alla testa della Filarmonica, Riccardo Chailly sostituisce all’ultimo minuto un indisposto Alain Altinoglou, dirigendo la ouverture-fantasia Romeo e Giulietta e la Sinfonia n. 4 in fa minore, op. 36 di Pëtr Il'ič Čajkovskij. Un programma forse poco ammiccante all’atmosfera natalizia, ma denso di significati e di grande musica.

MILANO, 18 dicembre 2021 - Il Concerto di Natale è un appuntamento a cui di solito nessuna istituzione musicale si fa trovare impreparata. Dando una scorsa ai cartelloni dei maggiori teatri italiani per questa edizione 2021, troviamo programmi variamente compositi, con molta importante musica sacra, opere sinfoniche di sicuro impatto, ma anche il solito Čajkovskij del Lago dei cigni e Lo schiaccianoci ed altri cavalli di battaglia quasi morenti. Programmi rassicuranti, non di rado pensati per chi vive l’evento musicale natalizio come un perfetto complemento dell’atmosfera intima, festosa, all’insegna dei buoni sentimenti e della sostanziale assenza di tensioni che dovrebbe caratterizzare la ricorrenza religiosa.

Il Teatro alla Scala ha preferito in qualche modo distinguersi. Inizialmente era previsto un concerto diretto da Alain Antinoglou, direttore musicale del Théâtre Royal de la Monnaie e della Hessischer Rundfunk Sinfonieorchester di Francoforte, assai richiesto sulle scene internazionali, che accostava raffinata Pavane op. 50 di Gabriel Fauré alla Symphonie fantastique di Hector Berlioz. Un programma in definitiva impegnato, sia pur con capolavori arcinoti, non proprio alla portata di chi a teatro va solo nelle feste comandate.

L’improvvisa indisposizione del maestro di origine armena ha costretto la massima istituzione musicale italiana a trovare in fretta e in furia una soluzione accettabile. A mettere una toppa ci ha pensato Riccardo Chailly, già impegnatissimo con le recite del discusso Macbeth targato Livermore/Salsi/Netrebko, e tuttavia disponibile a patto di eseguire un proprio impaginato. E la proposta del direttore milanese, a mio avviso, fa centro sotto diversi punti di vista.

Innanzitutto Čajkovskij, come è noto, è un autore vincente dal punto di vista commerciale: fa sempre cassetta, si direbbe in gergo da cineasti. E tuttavia i lavori accostati da Chailly non sono affatto un facile richiamo per un pubblico patinato, ma disegnano un programma granitico, tanto intimamente coerente quanto musicalmente stupendo.

Il fil rouge del programma è, senza dubbio, il tema del destino. La fatalità incombe nel dramma scespiriano di Romeo e Giulietta fino all’ineluttabile tragico epilogo, e l’ouverture-fantasia, pur strutturata come un primo movimento di sinfonia e saldamente ancorata ai tre temi principali, riesce come meglio non si potrebbe a raccontare la storia con felice alternanza di scene drammatiche e amorose. La Quarta Sinfonia, dal canto suo, presenta una veste a tratti scintillante, nel lirismo del secondo movimento, nel celebre pizzicato del terzo e nello scatenato finale. Ma anche qui, su tutto, aleggia uno spettro ricorrente: la terrificante fanfara che scandisce un tema nudo, a note ribattute, perentorio e fortemente monitorio. Un tema che, senza girarci troppo intorno, si pone in ideale continuità con il celeberrimo “tema del destino” della Quinta di Beethoven.

La serata ha il crisma e l’importanza dell’evento, ripreso peraltro dalle telecamere della RAI (verrà trasmesso il 24 dicembre su Rai1 e in replica su Rai5). Chailly, nonostante lo scarso preavviso,ci mette tutta la sua esperienza e professionalità, e il risultato è assolutamente lusinghiero. Il maestro meneghino dimostra una volta di più le sue doti di indiscusso Kapellmeister: eccellente concertatore, maniacale nella ricerca di un suono orchestrale pulito, e con un gesto sobrio, essenziale, che presenta la peculiarità di parlare sempre e solo ai musicisti, mai anche al pubblico (se non per raccogliere i meritati applausi finali).

L’esecuzione della ouverture-fantasia rivela una certa tensione da parte di tutto l’organico orchestrale, probabilmente dovuta forse anche all’esiguo numero di prove. Infatti l’insieme è ineccepibile, ma il pathos che anima la partitura viene messo in qualche modo sotto teca, leggermente appannato dal palpabile sforzo di inappuntabilità tecnica. Si sente infatti tutto benissimo, e l’emozione c’è, ma si è lungi dal toccare la carne viva del dramma. Al mio orecchio questa interpretazione ha però un notevole pregio: Chailly riesce ad esaltare la costruzione formale del pezzo, togliendo forse qualcosa alla immediatezza della narrazione, ma permettendo di cogliere in un unico enorme arco le tormentate vicende dei due giovani amanti.

Il pathos che forse un po’ mancava in Romeo e Giulietta si ritrova invece per buona parte della Quarta Sinfonia. L’orchestra, ben riscaldata dopo l’ouverture, regala un primo movimento ben solcato dalle inquietudini del tema degli archi, che segue alla tellurica fanfara. Memorabili le melodie stupendamente disegnate nel secondo movimento (merito soprattutto del respiro impartito da Chailly), mentre nel terzo movimento il pizzicato è equilibrato, ironico e assai piacevole (finalmente ascoltato non eseguito a rotta di collo!). Il Finale è una trascinante kermesse popolaresca che neanche la riapparizione della fanfara iniziale riesce a smorzare, fino alla trionfante stretta conclusiva.

Il pubblico che gremiva il teatro ha tributato calorosi applausi a direttore e compagine orchestrale (ed anche qualche applauso di troppo, come quello partito inopinatamente dopo il primo movimento della sinfonia). Nessun bis è stato concesso, circostanza che non si può certo rimproverare a chi è riuscito in pochissimo tempo a salvare il Concerto di Natale alla Scala, ed in modo così brillante.