Nostalgia

di Irina Sorokina

La presenza di José Carreras per il Galà di San Silvestro al Filarmonico di Verona è garanzia di emozione, anche se la forma del tenore non è - comprensibilmente - più quella di un tempo.

VERONA 31 dicembre 2021 - La sete di voci di tenore non si placherà mai. Ci sarà sempre una fetta del pubblico femminile che aspetterà il loro idolo all’uscita del teatro. Ma perché parlare solo del pubblico femminile? Anche a quello maschile piace la voce di tenore, nella maggior parte dei casi ha più successo dei registri gravi. La brama di “voce di tenore” non si placherà mai, sarà sempre ricercata da melomani e compagnie discografiche, da donnine in cerca di un ideale e altri rappresentanti del pubblico che frequenta teatri e sale da concerto. Un decennio fa si ricercava di un eventuale “quarto tenore”, cioè l'erede dei magnifici tre i cui nomi sono noti a tutti: Pavarotti, Domingo, Carreras. Il primo è morto, il secondo fa finta di essere baritono e si dedica alla carriera di direttore d’orchestra con risultati poco gloriosi, il terzo è stato sfortunato a causa della grave malattia che lo aveva colpito. Oggi il desiderio di trovare il quarto tenore si è placato: forse, ci si è resi conto che la ricerca di una voce lucente e carismatica somiglia in modo sospetto a quella di un gatto nero in una stanza buia, con la consapevolezza che lui là non c’è e non ci sarà mai. I tenori che calcano attualmente i palcoscenici sparsi per il mondo sono più o meno bravi, a volte vengono applauditi con fervore, ma nessuno di loro pare capace di donare al pubblico quei momenti di delirio felice che sono stampati nella memoria dei sessantenni-settantenni-ottantenni.

Per il gala di San Silvestro la direzione artistica dell’Arena di Verona ha giocato una carta vincente: è arrivato a calcare la scena del Teatro Filarmonico addobbato a festa un tenore che non necessita presentazioni, il catalano José Carreras. La sensazione di felicità provata dai melomani che conservano dei ricordi del suo glorioso passato è stata quasi sicuramente affiancata dai dubbi vista l’età dell’artista nato a Barcellona il 5 dicembre del 1946, quindi fresco degli auguri per i suoi splendidi settantacinque anni.

Ha sorpreso piacevolmente un programma molto nutrito – ben diciassette pezzi, tanti stili che spaziavano dall’operetta viennese per arrivare a Šostakovič passando per Grieg, Delibes e brani di musical e di tradizioni napoletana e spagnola. Un forte sapore di nostalgia per una grande fetta del pubblico del teatro veronese, vestita in modo elegante per l'occasione, una garanzia di successo vista la bellezza melodica indiscussa della maggior parte dei brani.

La serata è andata in crescendo; la prima apparizione del celebre tenore catalano avrebbe potuto destare sensazioni contraddittorie: l’andatura leggermente incerta tradiva la sua età e vagamente somigliava a quella del presidente statunitense in carica, Joe Biden, mentre l’espressione commuovente sul volto di chi ha raggiunto la pace e un sorriso disarmante hanno promesso qualche miracolo che, però, si è lasciato un po’ attendere.

Ma intanto una fresca ventata di ottimismo è stata portata dall’esecuzione del brano d’apertura, l'ouverture da Die Fledermaus straussiano: sul podio il direttore David Giménez Carreras, nipote del tenore, ha offerto un’ottima interpretazione del celeberrimo pezzo cogliendo gli aspetti misteriosi e malinconici e gradualmente arrivando all’esplosione del valzer vertiginoso.

Il tenore catalano ha esordito con il canto tradizionale Adeste Fideles affiancato dal coro di voci bianche A.LI.VE. (direttore Paolo Fancincani) e segnato da un’evidente incertezza del suono e dall’emissione dura e dalla disomogeneità della linea vocale, probabilmente dovuti all’emozione. Un’impressione che per fortuna non è durata a lungo e non ha influito sull’esito della serata. Presto Carreras è tornato a indossare i panni del vero mattatore, affrontando i brani vocalmente impegnativi e stilisticamente diversi quali ”Jeg elsker”dalle Melodie del cuore op. 5 n. 3 di Edward Grieg, “L’avi castellet” da Canco d’amor i de guerra di Rafael M. Valls, ”The impossible dream” da The Man of La Mancia di Mitch Leigh e duettando con gusto e disinvoltura con Karen Gardeazabal in  The little drummer boy di Katherine K. Davis.

La serata inaspettatamente è proceduta senza intervalli, e la parte che doveva essere la seconda si è svolta nel segno di una nostalgia che potrebbe capire solo la generazione dei melomani che da piccoli ascoltavano i LP con le voci di Tito Gobbi, Gino Bechi, Tito Schipa, Ferruccio Tagliavini, Beniamino Gigli, Mario Lanza e i loro contemporanei e forse gelosamente conservano questi dischi nei loro archivi sonori. Serenata sincera di Alessandro Derevitsky, Vurria di Furio Rendine, Passione di Nicola Valente, Core ‘ngrato di Salvatore Cardillo, El dia que me quieras. Nostalgia sottile, sentimentalismo fragile, stretta nel cuore, tutte queste sensazioni scomparse dalla vita d’oggi che forse oggi sono oggetto di scherni non proprio simpatici… ma chi all’epoca comprò questi dischi o passò dei mesi negli archivi ascoltando questi brani e ancora ha loro spartiti sugli scaffali ha sicuramente provato dei brividi. Melodie indimenticabili capaci di scuotere i cuori hanno prodotto un effetto grandioso nella sala del Teatro Filarmonico, intonate dal cantante, entrato nella leggenda ormai, che le vissute sulla propria pelle. E se nella prima metà della serata le insufficienze vocali del celebre tenore non si sono passate del tutto inosservate, nella seconda parte gli è stato giustamente perdonato tutto. Perdonato per la passione con cui cantava, per la grandezza dell’animo che regalava che regalava al pubblico.

Il mitico tenore è stato affiancato da due giovani soprani, messicana Karen Gardeazabal e italiana Laura Esposito che sostituiva l’annunciata prima Federica Vitali, voci e personalità diverse che hanno creato un frizzante e seducente contrasto. La prorompente Gardezabal in possesso di una voce importante per volume e timbro e di una personalità artistica sensuale e spiritosa ha deliziato gli occhi e le orecchie da “Meine Lippen, sie küssen so heiss” da Giuditta lehariana producendo un effetto decisamente elettrizzante in sala. Ha saputo intelligentemente “domare” la propria focosità duettando con la collega Esposito nel celeberrimo “Viens, Mallika… Dome épais le jasmin” da Lakmè spesso chiamato Duetto dei fiori con una sensibilità pressappoco commuovente e tornare nei panni di una donna piena di passione latina: il brano “Carceleras” da Las hijas del Zebedeo di Ruperto Chapì è risultato migliore della serata.

Anche la giovane Laura Esposito è riuscita ad imporsi nel corso della serata, giocando la femminilità diversa, segnata da delicatezza e eleganza. Ha esordito col canto tradizionale “Kum Ba Yah” per proseguire con la popolarissima Vilja dalla Vedova allegra e affiancare il tenore catalano nel celeberrimo “Tace il labbro” dalla stessa operetta lehariana. Una prestazione decisamente di classe e molto gradevole in tutto, dall’aspetto e dal modo di porsi in scena alla voce e alla musicalità; secondo il nostro parere, i brani dalla Vedova avrebbero richiesti più maturità artistica e una vocalità più sostanziosa. Tuttavia, nel duetto due cantanti hanno goduto un vero trionfo, nonostante la velocità decisamente troppo elevata e l’acuto finale affaticato. Un bel tocco misterioso è stato aggiunto dal violino.

È stato inestimabile il contributo dell’orchestra della Fondazione Arena in stato di grazia, molto partecipe e ispirata nelle mani espressive e “parlanti” di David Gimènez, rivelatosi un professionista particolarmente versatile: il largamente conosciuto Valzer n. 2 dalla Suite per orchestra jazz n. 2 di Šostakovič è stato risultato uno dei brani migliori della serata grazie ad uno spirito „sovietico“ perfettamente colto e trasmesso agli ascoltatori; ci è sembrato davvero essere trasferiti in un parco di divertimenti moscovita degli anni ’30 del Novecento, dove questo brano non potè mai mancare, e provare la sensazione mista di gioia e malinconia. L’unico neo è stato il volume dell’orchestra della Fondazione, decisamente elevato per le voci sul palcoscenico.

Successo pieno e numerose chiamate sul palcoscenico per tutti gli artisti.