di Andrea R. G. Pedrotti
G. Verdi
Giovanna D'Arco
Netrebko, Meli, Domingo
direttore Paolo Carignani
Salisburger Festpiele 2013
CD Deutsche Grammophon 2014
Spesso la letteratura, il fervore popolare, la tradizione, tendono a mutare il vero e proprio essere di un personaggio storico: la Pulzella d'Orléans da ragazza visionaria, divenne prima condottiera dell'esercito francese nella cosiddetta guerra dei cent'anni (la durata del conflitto fu di centosedici anni non consecutivi), poi eretica e arsa sul rogo di Rouen, eroina nazionale e, infine, Santa della Chiesa Cattolica. Parimenti a Don Carlo (tratto da Don Karlos, Infant von Spanien) o I masnadieri (tratto da Die Räuber), per Giovanna d'Arco, Giuseppe Verdi prese spunto da un'opera del drammaturgo tedesco Johann Christoph Friedrich von Schiller: Die Jungfrau von Orléans. L'ispirazione che ne trassero Verdi e Temistocle Solera non è fedelissima all'originale, specialmente nel finale, poiché l'opera, rappresentata la prima volta alla Scala di Milano il 15 febbraio 1845, si discosta da un sentimento eroico, lasciano posto al dramma interiore della giovane (che la tradizione vuole diciannovenne al momento della morte), ma accentuandone il romanticismo e il sacrificio. La lontananza dal personaggio storico è notevole: ella viene certamente elevata spiritualmente, arrestata cade da eroina, è processata, ma non è costretta all'abiura e arsa su una pira fiammante. Il 17 agosto del 2013 il Festival di Salisburgo ha proposto l'esecuzione in forma concertante del lavoro verdiano, opera breve e drammaturgicamente piuttosto debole. Debole, però, solamente quando non ci si avvalga di tre astri del firmamento musicale contemporaneo come Francesco Meli, Placido Domingo e Anna Netrebko. Estremamente saggia l'idea della Deutsche Grammophon di eternare l'austriaca serata di mezz'agosto, in modo tale da consegnare ai posteri l'unisono della miglior arte canora dei nostri giorni. L'udire i tre artisti potrebbe trarre in inganno l'ascoltatore in più parti, ché difficilmente sarebbe portato a credere che la forma non fosse scenica. Francesco Meli è il tenore per eccellenza dei nostri tempi, timbro morbido, emissione pulita, tecnica raffinata, mette in mostra tutta la sua classe sin dalla cavatina di Carlo VII, la nobiltà dell'accento è appropriata al monarca francese, che non viene meno neppure nel bellissimo duetto “T'arretri e palpiti” del secondo atto. Meli ha resa costante, degna della crescente fama che lo sta ripagando di anni di studio e di appropriate scelte di repertorio. Quando un teatro lirico desidera affidarsi a un interprete che sia un autentico “artista”, questi non può che avere certezza del successo dei suoi propositi rivogendosi a Placido Domingo. Il cantante ispano-messicano nasce tenore, ma ha saputo reinventarsi baritono e, grazie al suo immutato entusiasmo, è rinato a nuova vita: egli può affrontare un repertorio che gli pareva precluso. Gli anni hanno accorciato il registro acuto e rafforzato quello grave e l'artista, proprio d'una tecnica fuori dal comune e di una persistente curiosità giovanile, senza artefare l'emissione, sfrutta ogni freccia al sua arco, e la sua faretra ne è certo ottimamente fornita. La lettura del personaggio è appassionata e severa. Non c'è il rigore stilistico del consono baritono nobile, anche considerata la genesi della sua nuova vocalità, tuttavia il suo Giacomo rende alla perfezione l'immagine d'un severo genitore, il quale, con responsabilità, senso dello Stato e onore conformista, accusa la propria figlia di stregoneria, di esser “sacrilega” (termine che, sostituendo per ragioni di censura l'originale "pura e vergine", può star a sottolineare una presunta perdita di virtù, sia la perdita del senno della figlia, considerata, all'epoca della composizione, autentica maledizione divina). Miglior momento dell'intera incisione è il suo duetto con Giovanna, a partire da “A lui pensa!”...” Amai, ma solo un istante”, in cui egli scopre che “Ella è innocente e pura”, sino a conferirle la sua sincera benedizione. Come è giusto che sia tributiamo l'ultimo posto, quello d'onore, all'autentica primadonna di questa produzione; Anna Netrebko è probabilmente la miglior Givanna d'Arco dei nostri giorni: la voce è calda e dal bel colore brunito, al pari della chioma del soprano russo, l'emissione è morbida e pastosa, senza che traspaia mai alcun segno di forzatura. Ogni acuto è perfettamente centrato, ma ciò che stupisce di più, non è la sua tecnica perfetta, ma la bellezza dell'interpretazione e del fraseggio. Già la cavatina risulta notevole per partecipazione e per quanto la Netrebko sia stata capace di impadronirsi della complessa psiche dell'eroina francese. Il suo essere trasognata di fronte alle apparizioni di demoni e angeli, la sua risolutezza nel declamare il suo “Son guerriera!”, nel finale del primo atto. “O fatidica foresta” viene eseguita con maestria e padronanza e soverchia l'esecuzione che ella stessa ne seppe dare nel bel disco di arie verdiane, registrato solo pochi mesi prima del festival di Salisburgo, a riprova dei progressi costanti e dello studio che rende Anna Netrebko una delle più grandi artiste testimoniate dal disco. Come detto per Domingo, il momento più riuscito dell'incisione è il duetto del terzo atto fra Giovanna e Giacomo: autentico manuale di arte interpretativa. Non esaltante, al contrario, la prova del Talbot di Roberto Tagliavini, piuttosto cavernoso nell'emissione e dal fraseggio poco incisivo. Johannes Dunz è Delil. Con tre protagonisti come Meli, Domingo e Netrebko, dispiace notare che la direzione di Paolo Carignani non si dimostri all'altezza, né per scelta di tempi, né di dimamiche: l'orchestra appare troppo spesso eccessivamente rumorosa, senza essere passionale e, inoltre, manca un senso di originalità nella lettura del pathos verdiano, con effetti ben poco coinvolgenti e non adatti a restituire l'atmosfera di un dramma e una vicenda che hanno il fulcro principale nella follia di una donna, senza che vi sia un'azione incalzante a travolgere e compensare le carenze poetiche dell'orchestra, la non eccezionale Münchner Rundfunkorchester. Al contrario buona la prova del Philarmonia Chor Wien, diretto da Walter Zeh, efficace sia quando ha il compito di impersonare personaggi reali, sia quando è chiamato a impersonificare i fantasmi della mente della Pulzella d'Orléans.