di Valentina Anzani
Al Teatro Comunale Ragtime, spettacolo in collaborazione con la Bernstein School of Musical Theater, per l’annuale appuntamento con il musical.
Bologna, 14 luglio – Dopo Il bacio della donna ragno (2009 – 2010) e Les Misérables (2012), il Teatro Comunale di Bologna ha confermato la sua collaborazione con la BSMT – The Bernstein School of Musical Theatre, mettendo il scena Ragtime, musical del 1996 di Stephen Flaherty.
I due atti in cui si dilunga l’azione attraversano otto anni in cui le storie di numerosi personaggi ralmente esistiti (Booker T. Washington, Henry Ford, Harry Houdini, Emma Goldman, Evelyn Nesbit) si intrecciano a quelle dei protagonisti: il pianista nero Coalhouse vittima di soprusi razziali, la madre di famiglia benestante che intravede il peso dei vincoli imposti a una donna nella sua posizione, l’immigrato Tateh che riesce a fare fortuna e a realizzare il proprio sogno americano. L’ispirazione per la trama proviene dal romanzo di E. L. Doctorow, da cui Terrence McNally trasse un libretto, cui Lynn Ahrens aggiunse le liriche dei songs. La scelta di tradurre in italiano le sezioni da recitarsi in prosa del libretto, per mantere nell’originale inglese quelle cantate (e in versi misurati), si poteva ritenere efficace se l’intento fosse stato quello di rendere più accessibile il testo a tutti gli spettatori (anche a quelli che vorrebbero evitare di guardare i sottotitoli comunque proiettati sullo schermo sopra il palco), ma che è risultata straniante nei casi in cui una frase iniziata nel recitativo in italiano si completava in inglese per l’innestarsi su questa del brano cantato.
Tra gli interpreti, numerosissimi, spiccavano per particolarità vocali Timothy Martin nel ruolo di Coalhouse e Daniela Pobega nel ruolo di Sarah: il loro timbro black si è levato in difesa dell’uguaglianza sociale dopo aver attraversato momenti struggenti e intimistici come “Sarah brown eyes” di Coalhouse o il duetto pieno di fiducia nel futuro “Wheels of a dream” che li univa a metà del primo atto. Spassosissimo era Marco Romano, che ha conferito alla sua interpretazione di Tateh la ruvida cadenza est europea caratteristica del ruolo. In generale tutti i cantanti hanno dato buona prova di sè e, sebbene alcuni passi siano risultati poco connotati nella recitazione, sono stati salvati dalla cura dedicata movimenti scenici: l’intervento di Gillian Bruce, performer di fama internazionale e qui in veste di coreografa, era visibile sia nei passi propriamente coreografici, che negli spostamenti delle masse, sempre fluidi e coordinati. Priva di ogni manierismo era invece Simona Distefano, già impegnata quattro anni fa in Il bacio della donna ragno (dove era cover della protagonista Aurora). La Distefano, interprete del ruolo della Madre, era la regina della produzione: nobilissima nella presenza scenica, cantava carezzevole e con enfasi accorata, ma soprattutto recitava con grande carisma. La ricostruzione ambientale era volutamente didascalica e aderente al tempo della narrazione, senza per questo essere scontata. A riportare l’immaginazione all’America del primo decennio del Novecento sono stati soprattutto i bei costumi di Massimo Carlotto, mentre Gianni Marras ha confermato il proprio agio nell’approntare regie per il musical con mezzi semplici, ma efficaci, facendo largo uso di proiezioni che hanno dato l’illusione di spazi fisici capaci di amplificare o suggerire le situazioni emotive vissute dai personaggi.
La collaborazione tra la scuola di musical della città e il Teatro Comunale ha permesso la realizzazione di uno spettacolo che metteva tematiche lontane come la lotta politica per l’uguaglianza dei diritti umani e la tolleranza delle diversità accanto all’amore inaspettato tra persone che sembrerebbero non potersi avvicinare mai, che si è rivelato una piacevole novità rispetto alla programmazione usuale. Peccato che, per le cinque serate di repliche srotolate tra il 14 e il 18 luglio scorsi, la sala sia rimasta ben più vuota di quanto lo spettacolo avrebbe meritato e che l’impegno degli artisti sia rimasto negli occhi e nelle orecchie dei pochi che hanno riempito poco più che la platea. I presenti non hanno però lesinato gli applausi che le reiterate cadenze perfette in maggiore dei finali dei musical non mancano mai di strappare.