Raggi lusinghieri

di Roberta Pedrotti

Semiramide, la signora regale

musiche di Caldara, Porpora, Jommelli, Bernasconi, Traetta, Paisiello, Bianchi, Borghi, Catel, Meyerbeer, Rossini, Garcia, Haendel/Vinci

mezzosoprano Anna Bonitatibus

direttore Federico Ferri

Accademia degli Astrusi

La Stagione Armonica

2 CD Deutsche Harmonia Mundi 88725479862, 2014

Semidea, bimba esposta miracolosamente nutrita da colombe, pastorella o schiava ascesa al trono, costruttrice di città, sovrana virtuosa e saggia, guerriera e pacificatrice, seduttrice, uxoricida, madre affettuosa o madre incestuosa, ambiziosa e spietata, rosa dai rimorsi, giusta e perversa, uccisa dal figlio, per lui abdicante, misteriosamente scomparsa, mutata in colomba e ascesa al cielo fra gli dei.

La natura mitica di Semiramide è molteplice, tentacolare, imponente nella letteratura, nelle arti figurative e drammatiche, nella musica, dalla più remota antichità ininterrottamente fino ai giorni nostri.

Nessun progetto consacrato alla regina di Babilonia potrà mai ambire credibilmente alla completezza, chimera irrealizzabile che vedrebbe precipitare al pari di Icaro o naufragare al pari dell'Ulisse dantesco chiunque si cimenti con il “folle volo”. Viceversa il prezioso cofanetto pubblicato da Deutsche Harmonia Mundi è animato dall'ambizione elevata quanto concreta di offrire un raffinato ritratto di Semiramide attraverso un percorso parallelamente narrativo e cronologico di ascolti più unici che rari. Di quindici tracce complessive, infatti, solo una (recitativo e canzonetta con coro “Più non si tardi... Il piacer, la gioia scenda” dalla Semiramide di Meyerbeer) era già nota al disco, mentre in un caso si tratta addirittura di una prima esecuzione assoluta: la prima stesura della sortita “Bel raggio lusinghier” ricostruita da Philip Gossett sulla base della partitura-scheletro rossiniana, completa per la parte vocale.

La prima Semiramide è quella che ascende al trono nei versi di Apostolo Zeno musicati da Caldara nel 1725 (Semiramide in Ascalona) e che affianca poi Nino sul trono mostrando tutta la sua tempra guerriera nella Semiramide regina d'Assiria (1724) di Porpora, su libretto anonimo.

Da un patriarca del dramma in musica all'altro, da Zeno a Metastasio, si giunge alle traversie della regina, ormai vedova, nel reggere sola le sorti dell'Assiria e, soprattutto, sempre più intricate vicende sentimentali e familiari. Nella Semiramide riconosciuta di Jommelli (1742) è, come parte della tradizione ce la restituisce, sul trono in abiti maschili, turbata dall'incontro con Scitalce, amato prima di Nino. L'intreccio del libretto metastasiano è dipanato attraverso altre diverse intonazioni: in quella di Andrea Bernasconi (1765) la incontriamo mentre incoraggia i principi a implorare l'amore della sua rivale Tamiri, sperando di poter avere finalmente per sé Scitalce; in quella di Traetta esprime tutto il sollievo e la speranza di fronte al rifiuto apposto da Scitalce alla preferenza di Tamiri. E, viceversa, l'affetto opposto, la delusione e lo scoramento che, però, sono intonati nell'ironica e metateatrale Semiramide in villa di Paisiello (1772), mescolando diversi livelli di mimesi.

Il secondo CD da Metastasio, dall'ascesa e dal regno di Semiramide, scivola verso Voltaire, la tragedia e la caduta della regina. Siamo già sul declinare del XVIII secolo. Diversi librettisti affrontano il soggetto con diversi compositori: Francesco Bianchi mette in musica La vendetta di Nino di Pietro Giovannini nel 1790 (di cui ascoltiamo la sinfonia), Giovan Battista Borghi un libretto pressoché omonimo (La morte di Semiramide ossia la vendetta di Nino) di Antonio Simeone Sografi l'anno seguente e ci permette di ascoltare finalmente la regina come donna e madre, in ansia per la sorte del figlio di cui ha appena scoperto l'identità nel generale che aveva progettato di sposare. Ancora un anno e gli stessi versi saranno intonati da Sebastiano Nasolini con tale successo che l'opera verrà ancora ripresa con tutti gli onori ancora nel 1815, almeno tre lustri dopo la morte dell'autore, a Napoli, con Isabella Colbran protagonista e una nuova grande aria  a beneficio della primadonna (non geniale, ma in questo senso interessantissima) che può così sfoderare orgoglio e ardimento perfino di fronte all'apparizione dell'ombra di Nino. Un breve intermezzo con le danze dalla Sémiramis di Charles-Simon Catel (1802), inevitabilmente tratta da Voltaire, prima dell'apoteosi ottocentesca: l'ultima intonazione del libretto di Metastasio da parte del giovane Meyerbeer nel 1819, quindi il libretto voltairriano di Gaetano Rossi, che ci conduce dai giardini pensili alla supplica estrema, nell'ultima ora, nel sepolcro di Nino, ma non nelle intonazioni che siamo abituati ad ascoltare. Per la prima volta, infatti, come già accennato, si esegue la prima stesura rossiniana di “Bel raggio lusinghier”, in appendice all'edizione critica della Fondazione Rossini. Un testo sulla carta già noto agli studiosi, che testimonia la concezione iniziale di cavatina monopartita (come per Anna Erisso in Maometto II) poi evolutasi in un brano più articolato, di maggior effetto e abbandono.

Non meno interessante ascoltare l'ultimo assolo di Semiramide, “Al mio pregar t'arrendi”, dalla versione musicata dal tenore Manuel Garcia (il primo Almaviva, il padre di Maria Malibran, Pauline Viardot e del didatta Manuel jr.) nel 1828. Pagina di squisita fattura e ispirato lirismo per la quale il confronto con Rossini parrebbe quantomeno ozioso, ma che pure meglio inquadra il clima stilistico e di civiltà musicale nella quale sorse l'ultimo capolavoro italiano del Pesarese e ridimensiona perfino la fama restauratrice e passatista della sua partitura. È chiaro, ascoltando sia Garcia sia Meyerbeer, che non si possa parlare di anacronismi virtuosistici, coesistendo all'epoca un patetismo più minuto e fiorito e uno più lineare e neoclassico, essendo il movimento della storia sempre percorso da una doppia corrente di nostalgia e tradizione, di rivoluzione e innovazione, che generano gorghi, risacche e intrecci imprevedibili. La Semiramide di Rossini, nella sua rigorosa struttura che, sì, nella geometria vagheggia una misura antica, è la perfetta espressione dell'incontro di queste due correnti e consacra la molteplicità e l'ordine, l'autorità e la passione della Signora Regale, come ella stessa, storicamente, si sarebbe fatta chiamare.

Così, nell'Ottocento, si chiude una sorta di bizzarra opera in due atti, cangiante, sfaccettata e sfuggente come la sua protagonista, accarezzando diversi aspetti del mito e costruendo una biografia d'affetti musicali dipanati nell'arco di poco più d'un secolo, epoca cruciale che vede l'ascesa e il tramonto dell'opera seria classica, cui seguirà il dramma romantico. Dalla nascita di un genere alla nostalgia dei suoi ultimi esponenti, dalle ambizioni e dai timori di una pastorella agli ultimi sospiri d'una regina, d'una madre e di un'amante. I suoi panni sono stati indossati da tante illustri primedonne, e primi uomini en travesti là dove il mulier taceat in ecclesia aveva valore vincolante anche sui palcoscenici teatrali e i castrati abitualmente vestivano gonna e corsetto. Coincidenza seducente per colei che fece dell'ambiguità (e dell'abbigliamento unisex) uno dei cardini del suo mito: fra tanti travestimenti, piace ricordare anche l'allusione a un caso di doppio mascheramento di genere, con prima protagonista per Traetta Angiola Calori, colei che, seppur fra mille fondati dubbi, era stata indicata fra le possibili vere identità di quel Bellino – avvenente fanciulla spacciatasi per musico evirato per dare slancio alla propria carriera – che sedusse Casanova. Proprio all'epoca d'oro dei castrati, e a una prima donna femmina a tutti gli effetti ma abituata anche ad apparire maschio sulla scena, Margherita Durastanti, è consacrato il bonus del cofanetto, un'ultima perla del diadema di Semiramide, dal pastiche che Haendel assemblò sul libretto metastasiano saccheggiando ampiamente l'opera di Leonardo Vinci per la quale i versi del poeta cesareo furono effettivamente concepiti in origine.

Di fronte a un contenuto così ricco non si può non lodare l'impegno e l'iniziativa di tutti gli artefici, a partire dalla primadonna ispiratrice, Anna Bonitatibus. Questa si trova pienamente a suo agio nel repertorio più antico, sia sul versante patetico sia nei passi più agitati e dalla scrittura più fitta. Avvicinandosi e inoltrandosi nell'800 emergono maggiormente un certo vibrato e il timbro non proprio rigoglioso, ma rimane ammirevole la finezza della musicalità, il gusto nelle variazioni (tutte scritte personalmente), la dignità del fraseggio, che si piega ai diversi affetti e alle diverse situazioni mantenendo ferma la stella polare della regalità di Semiramide. Le tessiture estreme non la spavantano, e, anzi, proprio nelle pagine più acute la voce sembra acquistare maggior smalto.

Una prova nel complesso eccellente, riflesso di un intelligente progetto culturale e di un approfondimento intellettuale di rilievo, cui aderiscono con entusiasmo gli strumentisti dell'Accademia degli Astrusi e i coristi della Stagione Armonica guidati da Federico Ferri.

L'ascolto non è solo piacevole, ma offre un eloquente spaccato della storia della musica attraverso le declinazioni di un solo, per quanto complesso, personaggio, e non è certo risultato da poco, per di più unito alla coerenza narrativa del programma.

Festeggiamo, poi, un libretto all'altezza della situazione, con saggi, testi, contestualizzazioni, curricula, foto e, non ultimo, uno spazio dettagliatissimo dedicato ai crediti anche musicologici, che appagano ogni curiosità e danno, finalmente, a Cesare quel che è di Cesare, fatto non scontato in ambito discografico.

Un cofanetto irrinunciabile per gli amanti del belcanto e della Figlia dell'aria (tale l'appellativo della giovane semidea cresciuta dalle colombe e il titolo di un'opera rossiniana progettata ma mai realizzata).