di Roberta Pedrotti
J. Massenet
Werther
Alagna, Aldrich, Manfrino, Barrard, Trempont
direttore Alain Guingal
regia David Alagna
Teatro Regio di Torino, giugno 2005
DVD Deutsche Grammophon 076 288 3, 2014
Esattamente nove anni fa, nel giugno del 2005, di fronte a queste recite di Werther espressi una certa perplessità, non priva d'una punta di delusione, per la lettura di Roberto Alagna, che sulla carta, anche per le sue origini siculo marsigliesi, avrebbe potuto incarnare un interessante punto d'incontro fra la tradizione tenorile più strettamente francese e quella latina. Werther rappresenta una sorta di punto d'arrivo, d'ideale epilogo della storia gloriosa dell'haute-contre, eroico e acutissimo tenore che dal Settecento ha dominato il grand-opéra, non senza sedurre, direttamente e indirettamente, le scritture di Rossini, Verdi o Wagner. Werther è stato cavallo di battaglia prediletto dello sfumato lirismo di grazia di Kraus, Schipa, Prandelli, del giovane Di Stefano. Legittimo era attendersi da Alagna una personale terza via, che tuttavia parve realizzarsi solo in superficie, con esibizione di buoni mezzi e di fraseggio curato ma non illuminante, né troppo profondo.
Prendendo in mano oggi il DVD, appena uscito, di quella produzione riviviamo le medesime emozioni, pur constatando come la ripresa audio renda al meglio le qualità e il timbro di Alagna, ammantando il ricordo di nuovo splendore. Il tenore canta bene e si presenta al meglio delle sue possibilità: impugnare il gessetto di Beckmesser cercando qualche difetto sarebbe esercizio sterile, oltre che arduo. Tuttavia latita quella compenetrazione superiore fra canto, gesto e anima del poeta, il personaggio non avvince, il fraseggio non vibra, non si piega plasticamente al tormento di uno spirito appassionato ed eletto. Se la schiettezza del porgere aliena da ogni preziosismo lezioso può essere gradita, spiace non sentirla innervata da un'ispirazione che innalzi il declamato al di là di un fastidioso rotacismo ormai di moda anche fra i madrelingua, ma contrario all'antica scuola di canto francese, anche per la rigidità che impone nell'emissione.
Il nome di Alagna che troneggia a caratteri cubitali nella grafica del DVD e perfino nei titoli di testa, dove sostituisce quello di Massenet, citato poi con ben altra discrezione, segna, con le orgogliose note di regia del fratello David, però proprio in queste peculiarità la ragion d'essere della pubblicazione: una testimonianza dell'opera di Massenet, l'opera “del tenore” per eccellenza nel repertorio francese, a immagine e somiglianza del divo.
Non si può dire che non si ascolti una buona edizione, le voci sono rese ad arte, tutti hanno il physique du rôle. Kate Aldrich si trova decisamente più a suo agio in Charlotte che in altri ruoli affrontati nella sua carriera, Nathalie Manfrino è una Sophie deliziosa come ci si aspetterebbe, Marc Barrard un cordiale, borghesissimo Albert, Michel Trempont, Le bailli, porta in dote alla produzione la classe del veterano, i comprimari sono tutti precisi e puntuali. Alain Guingal dirige con impeccabile eleganza e l'aplomb dello specialista. Ma, nel complesso, manca sempre quella scintilla che marca la differenza fra l'Arte e il lavoro ben confezionato di un diligente primo della classe.
Per quanto anche David Alagna si prodighi nel decantare la modernità del suo “film”, quel che vediamo è un'accuratissima ambientazione d'epoca, una buona pellicola in costume, con qualche vezzo di fotografia, elaborati movimenti di camera, dettagli rallentati o sovrapposti, sequenze aggiunte, prospettive inconsuete ma, in conclusione, tutto fine a se stesso.
Cosa resta di questo Werther? Ai fan di Roberto Alagna un prodotto su misura, un autoritratto in ambiente goehiano; ai fan della rappresentazione calligrafica dell'opera una messa in scena rassicurante e patinata; agli altri una conferma dell'eccellenza del coro di voci bianche del teatro Regio di Torino, soprattutto negli anni in cui fu istruito da Claudio Marino Moretti (indimenticabili nel Mefistofele del 2002): difficile trovare, con tanta freschezza attoriale, anche tanta bravura nel cantar male (non stonato, ma forte e sgraziato) e poi benissimo, dalla prima all'ultima esposizione, il cantico natalizio.