Fato e necessità

di Roberta Pedrotti

La stagione della Form, l'Orchestra Filarmonica marchigiana, si inaugura fra gli imprevisti della pandemia, ma il limite si trasforma in risorsa poetica in una lettura della Quarta di Brahms complessa, profonda e sincera. Sul podio, il direttore principale Alessandro Bonato; Miriam Prandi è l'applaudita solista del Concerto per violoncello di Schumann che apre la serata.

ANCONA 14 gennaio 2022 - Fuori dal Teatro delle Muse c'è subito il mare, il porto di Ancona. Dentro, l'architettura di sala e foyer richiama le strade e i cantieri navali. Interno ed esterno si specchiano, l'orizzonte dell'Adriatico e quello della musica. La musica che, sempre, come ogni arte vive nel momento; non solo in questi tempi estremi, ma in ogni epoca, in ogni contesto. Perfino l'astrazione dall'attuale è una presa di posizione rispetto alla stessa attualità. Oggi si suona a distanza, spesso con la mascherina e con organici ridotti, in una gimkana di test, tamponi, assenze, sostituzioni. Può essere un limite, per certi versi lo è, ma può anche ispirare una nuova ricchezza poetica.

Lo vediamo in questa inaugurazione della stagione dell'Orchestra filarmonica marchigiana, quando a sorpresa non rivediamo al primo leggio la solita spalla, Alessandro Cervo, che attendiamo per i prossimi concerti. Lo sentiamo, poi, a partire dal Concerto per violoncello di Schumann che apre la serata. Un concerto solitario, che già fonde senza soluzione di continuità i tre movimenti classici (Non troppo veloce, Lento e Vivace), ma soprattutto si delinea non tanto come dialogo fra singolo e massa, quanto come soliloquio a cui l'orchestra risponde come atmosfera, eco, riflesso, talora contrasto. Miriam Prandi nel suo discorso non si lascia mai troppo andare, non si abbandona al pathos, come se comprimesse in una continua, concentrata ricerca tutta la tensione del pensiero schumanniano. Cercare, spesso, è più importante che trovare e l'orchestra diretta da Alessandro Bonato lo sottolinea accompagnando il tempo del soliloquio del violoncello con un impasto sonoro che non teme di mostrare la diluizione della distanza e nel contempo, con accenti e sforzati, un'energia rappresa e interiorizzata, sempre sul punto di sfogarsi e pure ripiegata in sé. Immediata conseguenza di questo percorso tormentato e ponderato sembra essere, con Prandi, il bis: Gramata cellam – Dolcissimo di Peteris Vasks ci riporta al senso accorato e dolente di ricerca del suono, fino allo sfogo nel vocalizzo richiesto all'interprete quasi a completare l'espressione dello strumento.

Il momento si sente poi nella seconda parte del programma, con la Quarta Sinfonia di Brahms. Tutto sta già nell'attacco, un ingresso in medias res che non può essere né assertivo né evanescente, ma, senza titubanze, pone un problema. Sgorga spontaneo da un dolore, da un interrogativo, un'esigenza bruciante che non si consuma, ma si evolve in un continuo moto di pensiero, in una propulsione interna che percorre tutta la sinfonia. Far musica non è bello, consolatorio, sollazzevole: è necessario. Nella ricchezza contrappuntistica e nell'elaborazione tematica di Brahms trovano espressione l'incertezza, le speranze, il turbamento, la ricerca di conforto e la reazione allo sconforto che ci circondano, di cui facciamo parte e che ci attendono fuori dalle mura del teatro.

Nessun elemento, nessun tema si riaffaccia perfettamente identico nel tempo e nella dinamica, ma sempre consequenziale allo sviluppo poetico, che conosce abbandoni morbidissimi (per esempio nel secondo movimento) ma sempre sostenuti dal nerbo di un'accentazione incisiva, dal mordente di una visione onesta e sincera, che conosce nobile solennità ma non si appaga di un'affermazione positiva. Una meditazione profonda, anche dolorosa, si illumina di speranza, accarezza una leggerezza ariosa con tratti ora di tenerezza ora di tensione intersecati e alternati con sapienti sfumature: il respiro del tempo è conseguenza dell'articolazione musicale, non di uno schema metronomico. Ogni opposto è necessario e connaturato, non giustapposto, al suo contrario. Così, per esempio, nel terzo movimento la definizione di Allegro giocoso si colora di una drammaticità inattesa, autentica: uno slancio vitale compreso nella tragicità dell'esistenza. Tragicità, però, non ineluttabile, sempre mossa da una ricerca, una speranza, un pensiero. Nella sintonia palpabile fra Bonato (al debutto nella Quarta) e la sua orchestra si percepisce chiaramente come non ci si trovi in teatro perché è bello ascoltare un Brahms ben fatto, ma perché in Brahms, nella musica, nell'arte possiamo trovare l'espressione, il senso del nostro confrontarci con il mondo, soprattutto con un mondo tanto cambiato, anche nei più banali gesti quotidiani, negli ultimi due anni.

Il pubblico applaude caloroso. Riprendendo la via del lungomare, fra le ultime luci natalizie, il pensiero è gonfio di gratitudine per aver vissuto la sincerità e la necessità della musica hic et nunc.