L'illusione di un mondo migliore

di Luigi Raso

Il concerto diretto da Henrik Nánási al Teatro di San Carlo sembra segnato, fra Bartók e Beethoven, dal tema della speranza (delusa) nel futuro. L'interpretazione energica e drammatica è premiata da un lungo applauso liberatorio.

Il fil rouge che lega i due brani, apparentemente eterogenei, del programma del concerto sinfonico diretto da Henrik Nánási, il Divertimento per orchestra d’archi di Béla Bartók e la Sinfonia n. 3, op. 55 Eroica di Ludwig van Beethoven, lo individuiamo nell’illusione in un mondo migliore.

Terminato nell’agosto del 1939, soltanto pochi giorni prima che Hitler scatenasse il più efferato conflitto nella storia dell’umanità, il Divertimento di Bartók ci appare quale uno speranzoso tentativo di fuga dall’orrore degli anni ’30 del secolo scorso verso un vagheggiato mondo, immaginato governato da maggiore razionalità e umanità rispetto a quello presente. Recuperati gli stilemi del barocco concerto grosso, il compositore ungherese, in procinto di emigrare verso gli Stati Uniti a causa dell’abbattersi dell’avanzare della pestilenza nazista sull’Europa, chiude con questa pregevole composizione il proprio periodo neoclassico e recide, solo fisicamente, i legami con l’Ungheria. E proprio i sentimenti di orrore e speranza, così presenti nella partitura di Bartók, emergono dalla analitica, cesellata e ispirata direzione di Henrik Nánási, il quale alla guida di un’orchestra d’archi duttile, precisa, dal suono tornito, esalta attraverso la cura di dinamiche e accenti, la preponderante componente ritmica, mutuata dal folklore musicale magiaro, dell’opera bartokiana.

L’Allegro non troppo e l’Allegro assai, rispettivamente del primo e ultimo movimento, grazie alla concertazione di Henrik Nánási ci inchiodano alla sedia tanto è debordante il flusso di energia che promanano.

Emerge presto la cura del maestro, già Direttore musicale della Komische Oper di Berlino, nel conferire il giusto sbalzo anche alle pieghe più marginali della partitura, ben dosando le intensità dei crescendo così come di tutte le altre indicazioni dinamiche; la scelta di tempi serrati, ma che consentono comunque alla compagine di soli archi di “respirare” e di fraseggiare, e l’evidenziazione del sincopato donano al brano un flusso di energia musicale palpitante.

Un’esecuzione analitica ma che non perde di vista l’unitarietà e la simmetria del discorso musicale del Divertimento, impreziosita dal raffinato concertino delle prime parti dell’orchestra, a cominciare dal ottimo primo violino di spalla di Gabriele Pieranunzi, per proseguire con gli efficace e solidi prima viola e primo violoncello, rispettivamente, di Luca Improta e Pierluigi Sanarica, tutti e tre perfetti nell’assicurare il giusto contrasto nel dialogo tra il concertino e il tutti.

Impressiona per il colore cupo e l’atmosfera notturna il meraviglioso Molto adagio centrale, laddove sembra che si condensi in musica proprio tutto l’orrore di cui era infestato e gravido l’anno 1939, quello della nascita del Divertimento: fraseggio tormentato, estremizzazione delle dinamiche e della tensione emotiva, ricerca di sonorità ora taglienti ora plumbee da parte di Nánási e dell’orchestra in forma ben più che smagliante fanno del secondo movimento, così drammatico e macerato, la gemma esecutiva dell’intero brano.

L’eterno ritorno della storia ci dimostra che illusioni e speranze si alternano a orrori e guerre: 136 anni prima del Divertimento di Béla Bartók, nel 1803, Ludwig van Beethoven si illuse di aver individuato in Napoleone Bonaparte il traghettatore verso un mondo migliore. I fatti dimostrarono che quella del compositore di Bonn fu pia illusione: nel 1804, Napoleone si autoproclamò imperatore; Beethoven vide naufragare il sogno di palingenesi all’insegna della giustizia universale. Ma sarebbe riduttivo ancorare l’eroismo della Terza Sinfonia esclusivamente a fattori storici e politici: la genesi della Sinfonia è successiva alla profonda crisi personale di Beethoven, del 1802, a noi pervenuta certificata e sublimata dal grido di dolore del “Testamento di Heiligenstadt”. Ed è appunto una visione tormentata, quasi prossima allo spasimo, quella che Nánási ha della Terza: una lettura incalzante sin dalle prime battute dell’Allegro con brio del primo movimento, laddove un’orchestra magmatica esalta accenti e dinamiche in un flusso energetico turbinoso.

Solenne e aliena da magniloquenza la successiva sublime Marcia funebre. Adagio assai, staccata da Nánási con tempo giusto, in modo da assicurare perfetta tenuta all’intero movimento ed equilibrio tra le sezioni orchestrali, scavo nella partitura, forza drammatica e plasticità alle linee contrappuntistiche. Scintillante e preciso e dal bell’impasto timbrico tra le famiglie strumentali è il successivo Scherzo, affrontato dall’intera compagine orchestrale con piglio deciso e con giusta intensità di accenti. L’Allegro molto del movimento finale è una geniale e vorticosa variazione sull’immediatamente riconoscibile e travolgente tema principale, al quale Nánási conferisce una debordante carica di energia propulsiva, “caricando” l’orchestra di una ritmica palpitante, in un crescendo di forza drammatica che si dissolve soltanto nel prolungato applauso liberatorio che il pubblico del San Carlo tributa alla interessante e pregevole esecuzione della Terza Sinfonia.

Se è vero che la sinfonia più bella di Beethoven è l’ultima che si è ascoltata, l’esecuzione della Terza di stasera ci conferma la validità del suddetto teorema.

Come vi abbiamo dato conto a conclusione della recensione della recente Lucia di Lammermoor (leggi qui), teniamo a sottolineare che anche questo concerto è stato dedicato dal Teatro San Carlo ad Antonella Valenti, prima arpa dell’Orchestra del Teatro San Carlo, scomparsa prematuramente pochi giorni fa. Prima dell’inizio del concerto un toccante ricordo della raffinata musicista è stato letto da una professoressa dell’orchestra in un’atmosfera di palpabile e condivisa commozione generale.