La grazia di Angela Hewitt

 di Stefano Ceccarelli

La pianista Angela Hewitt fa il suo esordio nel cartellone cameristico dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Il programma è tutto dedicato al barocco europeo: François Couperin, Piéces de clavecin, Dix-huitième Ordre; Johann Sebastian Bach, Clavicembalo ben temperato, libro II, Preludio e fuga nn. 13,14,15 e 16 (BVW 882-85); Domenico Scarlatti, Sonata Kk 430, 87 e 427; e, infine, ancora Bach, Suite Inglese in fa maggiore n. 4 BWV 809 e Passacaglia in do minore, BWV 582. Il pubblico le dona un applauso caloroso.

ROMA, 19 gennaio 2022 – L’esordio della talentuosa Angela Hewitt all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia avviene nel fascino di un’interprete dall’innato carisma aristocratico, dall’eleganza senza sforzo, dalla compostezza dei gesti – persino quando si prende i meritati applausi. La Hewitt fa il suo ingresso in un elegante vestito rosso, lungo, che le lascia le braccia libere di muoversi per la tastiera. Il talento della Hewitt, notissimo al pubblico di tutto il mondo, si sintetizza al meglio in un concerto che è la quintessenza del repertorio d’elezione della canadese: il repertorio barocco, da Couperin a Bach, passando per Domenico Scarlatti. Poter ascoltare questo repertorio suonato così bene, inoltre, è qualcosa di unico e raro.

La prima parte del concerto si apre proprio con i Pièces de clavecin, Dix-huitième Ordre di François Couperin. La Hewitt si muove con eleganza sulla tastiera, dando prova delle sue migliori doti d’interprete; la pianista sa, infatti, toccare il pianoforte con gentilezza, agilità, mantenendo un’incredibile uniformità di suono (necessaria a rendere l’‘effetto’ del clavicembalo), senza però eseguire in maniera monotona i sette pezzi della suite. Anzi, il carattere precipuo di ogni singolo brano prende vita, per così dire, fra le sapienti mani della Hewitt. In tal senso, degni di nota per carattere e peculiarità interpretative sono Soeur Monique, che evoca l’incedere bonario di una suora per un convento, un quadretto non certo scevro di una certa ironia; e l’istrionico Le Tic-Toc-Choc ou Les Maillotins, pezzo di bravura, che la Hewitt esegue con felina agilità e con un certo respiro umoristico. Gli applausi accolgono l’interprete già alla fine della suite di Couperin; qualche breve indugio e la Hewitt è pronta ad eseguire un’antologia di quattro preludi con le rispettive fughe dal secondo libro del Clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach. Il Bach della Hewitt è terso, espressivo, ma geometrico nella precisione dei passaggi, nelle sovrapposizioni dei temi nelle fughe, negli effetti cromatici ricercati da Bach nei preludi. La Hewitt prende ampi respiri fra il preludio e la sua rispettiva fuga, leggendo Bach con un’agogica spedita ma perfetta per dare importanza ad ogni singolo passaggio; in tal modo, la scrittura di Bach acquista colori quasi intimistici, come se la Hewitt stesse suonando per ognuno di noi – e solo per noi – allo stesso tempo. Splendido il limpido preludio e l’elaborata fuga BWV 882; drammaticamente indugiato il preludio BWV 885, cui la Hewitt fa seguire la relativa fuga spedita, incessantemente basata su un’unica nota ripetuta.

Il secondo tempo si apre con una fresca, brillante esecuzione di tre brevi sonate di Domenico Scarlatti, coetaneo di Bach. Il contrasto fra i due stili, però, non può che essere più netto. Lo si vede nettamente nella sonata Kk 430, un delizioso melodiare di accordi, e nella virtuosistica Kk 427, una sorta di spedita toccata, cui comunque la Hewitt dona carattere e respiro; un tocco più intimistico, velatamente malinconico, l’interprete pone nella Kk 87, che porta al massimo grado quell’effetto di intimo raccoglimento che la Hewitt riesce a donare al suo pubblico. Tutta la seconda parte del concerto è occupata da Bach, in particolare quello della quarta Suite inglese e della Passacaglia in do minore. Precisione, pulizia, senza però scendere in un’esecuzione meramente metronomica, sono le cifre della quarta Suite inglese, di cui è bene ricordare l’acquatica scioltezza della Courante, la misurata grazia dei due Menuet e l’energia coreutica della Gigue. Il concerto si chiude con l’esecuzione della Passacaglia in do minore, nella riscrittura pianistica tardoromantica di Eugen d’Albert. Una riscrittura che rende quasi cupi alcuni passaggi (come gli accordi gravi in attacco), fatto che dà modo al pubblico di gustare anche la sensibilità ‘romantica’ della Hewitt. Fra scroscianti applausi degli spettatori, la Hewitt si congeda con due bis, di cui rimane impresso indelebilmente il secondo: l’aria delle Variazioni Goldberg di Bach, eseguita con tale ieraticità da lasciare il pubblico senza fiato in un lunghissimo silenzio, prima dell’applauso finale.