Viva Rossini!

di Stefano Ceccarelli

Nella sala Santa Cecilia dell’Auditorium ‘Ennio Morricone’ va in scena un concerto rossiniano di superba qualità. Antonio Pappano, assieme a un cast di eccellente qualità, composto da Eleonora Buratto, Teresa Iervolino, Lawrence Brownlee, Michael Spyres e Carlo Lepore, dirige, nel primo tempo, pezzi antologici di Gioachino Rossini (la sinfonia dell’Armida, il duetto «Bella imago degli dèi» dalla Semiramide e il duetto/terzetto «Ah vieni, nel tuo sangue» dall’Otello) e, nel secondo, la Messa di Gloria.

ROMA, 28 gennaio 2022 – La musica di Gioachino Rossini ha il raro potere di eccitare le emozioni umane in una maniera che pochi altri compositori sono riusciti a fare nel corso della storia della musica occidentale; una serata interamente dedicata alla sua musica non può che incontrare l’incondizionato gradimento del pubblico. Quando, poi, a dirigere la serata è un direttore del calibro di Antonio Pappano e a cantare sono rossiniani eccellenti come Eleonora Buratto, Teresa Iervolino, Lawrence Brownlee, Michael Spyres e Carlo Lepore, il pubblico non può che andare in – autentico – delirio.

Il concerto si apre con l’ouverture da Armida. Forse, Pappano allarga troppo i tempi della mesta marcia con cui il pezzo si apre, creando un effetto quasi ristagnante, comunque inusitato nella direzione dell’ouverture. Come che sia, nella sezione più vivace Pappano instaura un tempo netto, che riesce a far risaltare brillantezza e colore dei vari passaggi, fino alla scenografica chiusa. Segue, poi, il duetto fra Arsace e Assur («Bella imago degli dèi») nella Semiramide. Pappano si assesta su un tempo ottimale per tenere vivace il ritmo e far cantare le voci, che qui sono quelle della Iervolino e di Lepore. Teresa Iervolino, una specialista dei ruoli rossiniani, mostra un fraseggio fresco, ricco di armonici; aiutata da una dizione perfetta, la Iervolino disegna le melodie rossiniane cantando a fior di labbra, restituendo tutta la gamma emozionale di Arsace (guerriero innamorato e in cerca di affermazione sociale), sia nel languido cantabile, che nei guizzi virili della cabaletta. Il suo timbro, lievemente brunito, esalta la brillantezza dei passaggi melodici della parte. Del pari, Carlo Lepore regala una lettura vocalmente piena, centrata, con voce stentorea, dizione ben scandita, fioriture ben sgranate. Il suo Assur è imperioso, vocalmente disegnato e ben credibile; il suo timbro, che si presta assai bene alle parti comiche del repertorio rossiniano, soprattutto per la chiarezza vibrata della fibra vocale, si sposa decisamente bene con il ruolo del condottiero attempato, ma bramoso di gloria e assetato di potere. Si prosegue con il duetto/terzetto dall’Otello, «Ah vieni, nel tuo sangue». La direzione di Pappano si fa energica, pronta a sorreggere il pirotecnico virtuosismo delle voci coinvolte, innanzitutto le due parti da tenore, qui interpretate da Brownlee (Rodrigo) e Spyres (Otello). Lawrence Brownlee ha una voce squillante, tersa, capace di acuti penetranti e incredibilmente intonati; possiede, poi, una notevole uniformità in tutti i registri vocali, tal che il suo canto appare sotto un portentoso controllo nei passaggi. Michael Spyres ha il dono di una voce incredibilmente solida, potente, da vero baritenore; passa agevolmente da acuti ben strutturati, centratissimi, a bassi corposi, vibrati, il tutto con una magnifica duttilità nei vari registri. Nella prima parte del pezzo i due interpreti si lanciano in un’interpretazione infuocata, di quelle che hanno una presa immediata sull’eccitazione del pubblico: le voci si rincorrono in arditi passaggi, acuti squillanti, verticalizzazioni vocali. A segnare il passaggio al terzetto è l’intervento del soprano (Desdemona), la cui parte è qui sorretta da Eleonora Buratto. Dotata di una voce cristallina, piena, tersa ed uniforme, la Buratto riesce a svettare con luminosa potenza nella zona acuta, dove si muove con incredibile agilità, mantenendo squillo, smalto e potenza vocale. Si può immaginare, dunque, la cabaletta del terzetto, pezzo che si muove – con tipica tecnica rossiniana – fra frammenti di crescendo interrotti, ripresi, inframmezzati dalla melodia cantata, a turno, dagli interpreti; una giostra di voci si impossessa del palco, l’orchestra monta in volume, il pubblico va in delirio.

Il secondo tempo è interamente occupato dal nucleo effettivo del concerto; se, infatti, il primo tempo era una sorta di gala vocale degli interpreti presenti in cartellone, il secondo li vede tutti impegnati nell’esecuzione della Messa di Gloria, capolavoro rossiniano del periodo napoletano. Pappano imposta un’agogica ieratica, senza tuttavia sacrificare gli elementi puramente cantabili della scrittura rossiniana. Il coro dell’Accademia legge un Kyrie voluminoso, compatto a livello vocale; splendido, però, soprattutto nella fuga del finale il Cum Sancto Spiritu. La sezione del Gloria diventa una sequela di arie e pezzi d’assieme delle varie voci. Il primo, Gloria in excelsis Deo,dà possibilità a tutte le voci sul palco (tranne il secondo tenore, qui interpretato da Spyres), di intonare un tipico corale rossiniano, vigoroso e robusto. Il Laudamus te della Buratto è fulgido, soprattutto nella gestione dei passaggi più arditi, dove il gusto dell’interprete si fa sopraffino. Segue, poi, il Gratias agimus te, cantato da Brownlee: la sua voce ondeggia sulla linea melodica rossiniana, che svetta in acuto permettendo al tenore di sfoggiare, ancora, le sue doti. Incantevole, dolcissimo il Domine Deus, diretto con agogica larga, cullante, da Pappano, su un velo orchestrale sul quale sono trapunti gli interventi della Buratto, della Iervolino e di Lepore, l’impasto delle cui voci crea effetti luminosi. Il Qui tollis è affidato a Michael Spyres, sulle cui note l’interprete dà sfoggio di tutto il suo virtuosismo, in particolare negli ardui passaggi delle fioriture e degli acuti improvvisi. Da ultimo viene il turno di Lepore, che canta il Quoniam e lo fa con precisione, senza tralasciare un certo piglio buffo nel fraseggio, perfettamente in tinta con una scrittura decisamente ‘comica’ – ma oramai si è capito che per Rossini il sacro è bellezza musicale allo stato puro, non necessariamente aderenza a stilemi consolidati. Il pubblico, alla fine del concerto, applaude calorosamente, complimentandosi con gli interpreti.