Percorsi nella musica

di Roberta Pedrotti

Il Salotto Toscanini e le prove aperte dell'orchestra emiliano-romagnola con Omer Meir Wellber nella doppia veste di pianista e direttore offrono un bell'esempio di un'attività ricca e stimolante, fra musica da camera, approfondimenti e prospettive inconsuete.

PARMA, 17 e 18 febbraio 2022 - Al centro del parco Ex-Eridania troneggia l'auditorium Paganini, la sede principale dei concerti sinfonici, ma lì accanto c'è un edificio inaugurato cinque anni fa, il Centro di produzione musicale Arturo Toscanini, che ospita non solo archivi e uffici, ma anche spazi per convegni, prove e concerti. Come la Sala Gavazzeni, un salotto perfetto per la musica da camera; e proprio Salotto Toscanini. musica da vicino è il nome della rassegna che arricchisce il fittissimo calendario di iniziative della fondazione emiliano-romagnola.

Introdotto dal musicologo Attilio Cantore, il programma di questa sera è un'anteprima a quello ghiottissimo che debutterà l'indomani. Al Paganini saranno musiche di Colasanti e Mahler con l'orchestra al gran completo e Hila Baggio soprano solista; in Sala Gavazzenti il direttore Omer Meir Wellber passa dal podio al pianoforte al fianco della spalla della Toscanini Mihaela Costea e del primo violoncello Pietro Nappi per Kodály e Schnittke.

Ben accolto dall'acustica più felice di quella del Paganini, il suono di Costea mantiene quella brillantezza tagliente che gli è proprio e che tanto si confà a queste pagine novecentesche, ma esprime anche una maggiore rotondità e ricchezza di armonici, in perfetta sintonia con Nappi, agile e snello quanto caldo e cantabile alla bisogna. Il Duo per violino e violoncello op.7 di Kodály apre la serata nella dialettica fra reminiscenze austroungariche colte e folkloriche, frammenti melodici che fanno ripensare anche a Lehár e dissoluzione di rapporti e strutture precostituite. Il discorso si fa ancor più evidente quando al duo si aggiunge Wellber nel Trio per violino, violoncello e pianoforte di Schnittke. Spazi solistici e rapporti di forza si alternano percorsi da una tortuosa tensione, il lirismo può abbandonarsi fino a sbriciolarsi (decomporsi, talora) nel dolore, sferzate ritmiche – e armoniche – suggeriscono una violenta spinta vitale spossata e sussultante. Al termine, con l'acume arguto che gli è proprio, Wellber chiosa il programma sottolineando il legame fra la biografia di Schnittke (in particolare la sua precaria salute) e il Trio, per poi passare a una diversa, per certi versi opposta espressione e rivisitazione di una vitalità tradizionale con il fuori programma: Tango jalousie di Gade mostra la brillantezza sfoggiata dai tre musicisti in un disinvolto moto danzante non scevro da più profonde ambiguità.

Si lascia il Parco Ex Eridania sotto le stelle, si ritorna nella bruma parmigiana mattutina: c'è la prova aperta per il concerto della sera, preceduta per chi vuole da una guida all'ascolto. Orario scolastico e d'ufficio, il pubblico è per forza di cose circoscritto a chi si trova libero, ma non scarso né distratto. D'altra parte, poter osservare il dietro le quinte di un concerto può essere interessante quanto il concerto vero e proprio, non la stessa cosa, non il fatto compiuto, ma una prospettiva in divenire che val la pena conoscere se si presenta l'occasione. Si ascolta già tutta d'un fiato, invero, Ciò che resta di Silvia Colasanti, compositrice in residence per questa stagione della Toscanini, e lo si ascolta con triplice gusto. In primo luogo perché il pezzo, dato in prima assoluta a Venezia nel 2017 con Riccardo Frizza sul podio, non segue il destino di tante novità contemporanee e trova una sua circolazione con complessi e direttori diversi; in secondo luogo, la commissione della Fenice fu sostenuta da Marino Golinelli, il mecenate bolognese scomparso sabato 19 febbraio a 101 anni, proprio il giorno successivo a questo concerto, e fa piacere ricordarlo; infine, è una bella pagina, che da solide origini nel Novecento storico impone una propria autonomia estetica, con un'orchestrazione abile e suggestiva, uno sviluppo dinamico e tematico di accumulo progressivo e dissoluzione ben sostenuto armonicamente, compiuto ed eloquente.

Poi, osserviamo Wellber affinare il cesello sulla Quarta sinfonia di Mahler, uno dei suoi autori d'elezione. È un piacere sentire fluire il discorso e poi ritornare sul dettaglio, sulla piccola definizione di un contrasto ritmico, di un rapporto fra voci e sezioni che subito ridà la misura della complessità interna di un disegno che il maestro israeliano legge lucido e consequenziale. Emerge così, essenziale e pregnante, anche la ricchezza semantica del segno mahleriano, dall'attacco brillante e ambiguo fino alla Vita beata intonata con voce cristallina e fraseggio intelligente da Hila Baggio. Una prova non si recensisce: non è un concerto, ma può raccontare molto, specie quando poche parole, qualche battuta ripresa e rifinita ci mostrano il prendere forma di una visione intellettuale scevra da sovrastrutture superflue.

D'altra parte, fra concerti, salotti, prove e incontri, siamo immersi in un parco della musica: non c'è, per fortuna, solo il grande evento finale, ma c'è la possibilità di vivere intorno ad esso e approfondirlo da più angolazioni, per una vera politica culturale.