Mozart e il mistero della morte

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia presenta un concerto ricco e molto affascinante, basato su un’idea del direttore Manfred Honeck: creare un pastiche di brani di varia natura, accompagnato da letture in prosa e poesia, attorno al Requiem K. 626 di Wolfgang Amadeus Mozart. Ecco che nasce una lunga sequenza di brani, ben equilibrata, che spagina il mistero della morte, dall’Apocalisse di Giovanni ai sonetti di Michelangelo, passando per le sequenze di canto gregoriano e altri brani mozartiani. Il concerto è aperto, inoltre, da una vivida esecuzione della Sinfonia n. 1 in do maggiore op. 21 di Ludwig van Beethoven.

ROMA, 13 maggio 2022 – Il Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart è sacro, non solo per chi ha fede. Si tratta, infatti, di una delle opere più iconiche del repertorio classico, ammantata di un’aura leggendaria e connessa con la mitizzata morte del suo compositore. L’operazione di Manfred Honeck, quella di alternare alle sezioni del Requiem testi e brani di natura sacra e profana che ne accompagnino l’esecuzione, sarebbe potuta essere ‘pericolosa’; proprio perché, appunto, siamo di fronte a un testo sacro, che difficilmente si ama vedere alterato nella sua struttura. Coraggiosa, certo, l’operazione di Honeck, ma anche pienamente riuscita, soprattutto grazie a una direzione mozzafiato. Ma si proceda con ordine.

La prima parte del concerto vede l’esecuzione della Prima di Beethoven. Honeck dirige un Beethoven vibrante nell’agogica ben calibrata, esaltando gli impasti di colori, fin dal famoso accordo di settima che apre la sinfonia, in un’aura solo apparente di calma, in realtà ponendo un interrogativo che troverà soluzione solo nel finale. Il passaggio all’Allegro con brio è rapido e l’agogica spumeggiante, senza essere troppo banale; splendido tutto lo sviluppo, dove Honeck riesce a tirar fuori la brillantezza smagliante della musica beethoveniana. Nell’Andante cantabile (II) Honeck imposta una lettura nobile, sostenuta, inarcando le melodiose frasi beethoveniane senza appesantire il tessuto orchestrale, facendole puntellare dagli interventi dei vari strumenti. Ancora energico, vivido il Minuetto (III). Strepitoso l’Allegro finale (IV), che suggella fra gli applausi una lettura tesa, mai realmente tersa, ma volta a cogliere la pure energia della musica di Beethoven.

La seconda parte del concerto è, oserei dire, mozzafiato e l’idea di intervallare le sezioni del Requiem con brani recitati è originale e rafforza, quasi, la sacralità del pezzo stesso. Ciò che ha ispirato Honeck nel mettere insieme il Requiem e brani di diversa natura è il voler, in un certo senso, ricostruire almeno la sensazione che il pubblico dovette provare alla prima esecuzione pubblica di alcune parti di questa partitura. Pochi giorni dopo la morte di Mozart, infatti, alcune sezioni del Requiem vennero eseguite in chiesa durante le celebrazioni funebri organizzate da Schikaneder per la morte del compositore. Quello di Honeck è, prima di tutto, un sentito omaggio a Mozart e alla sua tragica scomparsa; ecco perché il suo pastiche riesce a emozionare il pubblico: si comprende l’intenzione genuina dell’omaggio del direttore. Il primo pezzo eseguito è una sequenza gregoriana, su versi del Requiem: gli esecutori della Schola Gregoriana del Pontificio Istituto di Musica Sacra, diretti da Franz Karl Prassl, nascosti nella parte alta degli spalti, fanno risuonare la sequenza, immergendo il pubblico nell’atmosfera più consona. L’introduzione prima dell’esecuzione vera e propria del Requiem continua. Massimo Popolizio, cui è affidata la voce recitante, legge una toccante lettera di Mozart al padre morente, in cui il compositore tenta di lenire il dolore di suo padre presentando la morte come un’amica della vita, non una sua nemica. Si susseguono, poi, la mozartiana Maurische Trauermusik in do minore K 477, un’altra sequenza gregoriana (Domine exaudi orationem meam) e il dolcissimo Laudate Dominum dai Vesperes solennes de Confessore K 339, capolavoro mozartiano per soprano, dove la dolcissima voce di Federica Lombardi porge una melodia tutta a fior di labbra. Ancora una sequenza gregoriana (In quacumque die) introduce la lettura di due sonetti dal canzoniere di Michelangelo Buonarroti (il n. 288 e n. 285), ambedue sul tema – topico nella poesia michelangiolesca – dell’inconsistenza della gloria terrena, ivi compreso il talento artistico, e della volontà di ascendere al cielo il prima possibile. Sono i due testi di Michelangelo a introdurre, con effetto notevole, l’Introitus del Requiem; ci si rende sùbito conto che l’idea interpretativa di Honeck è quella di una lettura austera, energica, tutta volta a sprigionare la potenza del messaggio mozartiano, quasi mettendo in secondo piano (almeno apparentemente) taluni passaggi puramente estetici; lo si è visto benissimo nel Kyrie, dove l’angoscioso procedere della fuga è diretto con inesorabile precisione dal gesto austero di Honeck. Il coro dell’Accademia è straordinario nell’eseguire tanto i passaggi più languidi, quanto quelli più drammatici della partitura. Vero coup de théâtre è l’interruzione prima del Dies Irae, il cui violento incipit è preceduto dalla lettura di un passo dell’Apocalisse di Giovanni; il che acuisce il senso di caos che la descrizione del giorno del giudizio aveva nelle intenzioni mozartiane. La sequenza del Requiem, poi, non viene interrotta fino al Lacrimosa. L’esecuzione, così energica, drammatica di Honeck rende più vividi i colori mozartiani, donando effetti spesso non resi dalle altre letture. Il cast vocale brilla per l’interpretazione compartecipe e nobile: Federica Lombardi, Marianna Pizzolato, Mauro Peter e Krzysztof Bączyk eseguono un indimenticabile Tuba mirum e un commovente Recordare, splendido nell’intrecciarsi armonioso delle loro voci. Il coro, poi, dà ancora saggio della sua bravura nel Confutatis e nel mesto Lacrimosa: persino qui la direzione di Honeck è austera, ieratica, concentrata non tanto sulla bellezza estetica del pezzo, quanto sul suo profondo messaggio. L’ultima ‘cerniera’ prima della sequenza finale del Requiem vede il gregoriano Christus factus est, cui segue l’ultima lettura della serata: ancora un passo dall’Apocalisse di Giovanni. La sequenza finale del Requiem, l’Offertorium, si spegne nell’incompiutezza della partitura mozartiana; è qui che Honeck inserisce il pezzo finale: l’Ave verum corpus K. 618, un brano dove Mozart scrive una dolce parte corale, quasi cantata sottovoce, a contemplare il supremo mistero cristiano della morte. Un lungo silenzio segue alla conclusione del pezzo, proprio come se stessimo tutti assistendo alle funzioni funebri per Mozart. Poi, una standing ovation saluta l’uscita di tutti gli interpreti.