Omaggio al Maestro

di Roberta Pedrotti

L'apertura inusuale con la Nona di Beethoven per l'estate allo Sferisterio di Macerata è soprattutto un grande abbraccio a Zubin Mehta, per la prima volta sul podio dell'istituzione marchigiana.

MACERATA, 19 luglio 2022 - L'inaugurazione è inusuale. Non che i concerti sinfonici non abbiano fatto parte della storia delle estati allo Sferisterio, tuttavia l'idea che ad aprire il cartellone non fosse un'opera sembrava affatto lontana dagli orizzonti maceratesi. Fra le novità proposte dalla nuova gestione del festival, la diluizione delle date senza più la possibilità di poter assistere in un unico weekend agli spettacoli principali non è piaciuta a tutti (anzi, probabilmente a nessuno), mentre l'ampliamento dell'offerta concertistica e l'ospitalità di grandi orchestre e solisti balza all'occhio. Quale potrà essere l'attrattiva per il pubblico dello Sferisterio è presto per dirlo. Le Marche sono la regione dei cento teatri, una regione musicalissima patria di cantanti e compositori, ricca anche di iniziative e istituzioni di pregio (abbiamo notato negli ultimi anni la grande vivacità produttiva dell'Orchestra Sinfonica Rossini e la notevole evoluzione qualitativa e di repertorio della Form) che non sempre vengono valorizzate come meritano. In un contesto come questo, da un lato fertile e in fermento e dall'altro sonnacchioso quando non ottenebrato da logiche extra artistiche, è difficile immaginare come, soprattutto in una prospettiva cronologica più ampia, si innestino ospiti speciali quali, in questo caso, i complessi del Maggio musicale Fiorentino diretti da Zubin Mehta. 

Certo è che la scelta del programma punta in alto per impegno e per popolarità. Come già notavamo in altre occasioni, data la frequenza anche nei cartelloni estivi en plein air,  è "facile" proporre la Nona di Beethoven, con il suo valore simbolico e la sua fama universale; difficile è proporre una Nona degna di nota.

In questo caso le aspettative sono bifronti: sebbene lo Sferisterio offra una delle migliori acustiche a cielo aperto (nei concerti c'è il rischio di un riverbero un po' eccessivo, con alcuni effetti d'eco che potrebbero essere corretti), le condizioni di esecuzione e ascolto non sembrano poter promettere finezze; viceversa, la presenza di Mehta e del Maggio si pone a garanzia di qualità.

E, in effetti, la qualità c'è, perché il valore dei complessi fiorentini non delude, specie là dove può sfoggiare lo strettissimo rapporto con il maestro indiano. Anche quando un tempo si rilassa più del consueto, anche quando il contesto mette a rischio la coesione, basta poco perché tutto torni a quadrare. Mehta tende a dilatare l'agogica: nell'incipit del primo movimento questo in realtà lascia spazio a un bel fremito interno, mentre via via che la sinfonia procede la compostezza predomina nell'aura carismatica del Decano del podio, che sembra officiare, con affetto paterno, una cerimonia a cui siamo tutti invitati. Inutile negarlo: la presenza di Mehta, mai prima d'ora sotto le stelle di Macerata, è di per sé il fulcro della serata, dalla lunga distanza percorsa con l'ausilio di una sedia a rotelle, gli ultimi passi con un bastone, lo sgabello, il gesto minimalista che, più ancora dell'età, dichiara la confidenza di una lunga frequentazione. Tanto basta. 

Il quartetto vocale è efficiente anche senza imprimersi nella memoria (per la cronaca il soprano Mandy Fredrich, il mezzosoprano Marie-Claude Chappuis, il tenore AJ Glueckert e il baritono Florian Boesch); il coro del Maggio preparato da Lorenzo Fratini conferma, con l'orchestra, il suo ottimo livello. 

Al termine, gli applausi sono calorosi, l'Arena non è gremita, ma fra pubblico consapevole di appassionati e addetti ai lavori, curiosi più vacanzieri e presenze ufficiali d'obbligo l'abbraccio a Mehta e ai suoi compagni d'avventura è sincero e caloroso.