Beethoven à la Chopin

di Roberta Pedrotti

Jan Lisiecki propone l'integrale dei concerti per pianoforte e orchestra di Beethoven nell'ambito del Macerata Opera Festival. Il successo di pubblico non cela le perplessità di natura critica

MACERATA, 4 e 6 agosto 2022 - Dopo i due concerti d'apertura allo Sferisterio [Macerata, concerto Mehta, 19/07/2022, Macerata, concerto Chung, 21/07/2022], il ciclo beethoveniano che il nuovo direttore artistico Paolo Pinamonti ha voluto proporre nel cartellone estivo maceratese trova casa al Lauro Rossi. Scelta saggia sia in relazione a un'affluenza di pubblico non proprio traboccante sia per un programma e un organico che potevano risultare dispersivi all'aperto. Parliamo dell'integrale dei concerti per pianoforte e orchestra (secondo, primo e quarto il 4 agosto, terzo e quinto il 6) con Jan Lisiecki solista e direttore della Filarmonica G. Rossini. Un'orchestra locale e un divo internazionale, già enfant prodige che nel marzo 2013, nove giorni prima del suo diciottesimo compleanno, sostituì Martha Argerich in quello che sarebbe stato l'ultimo programma diretto interamente da Claudio Abbado in Italia. Suonava proprio il Quarto di Beethoven, che ora si impegna anche a concertare. Con risultati che, a dire il vero e nonostante il gradimento del pubblico in sala, non ci paiono all'altezza della sua fama.

Al di là della comunicativa estrosa del maestro che si toglie la giacca e rimane in entrambe le serate in maglietta nella seconda parte per il caldo, che dà più colpi di tallone a terra che di punta al pedale, che agita vigorosamente la testa bionda a suon di musica, al netto di tutto il contorno, non sembra che la direzione e la concertazione siano, almeno per ora, la sua più felice espressione, tanto più che la Filarmonica Rossini non è un complesso di natura cameristica avvezzo anche a suonare solo nell'ascolto reciproco, ma si sarebbe giovata di una più autorevole ed esplicita presenza sul podio. Così, non tutto è preciso, il suono non è sempre limato a dovere, i tempi tendono a fluttuare, così come il fraseggio, anche perché se Lisiecki non è un direttore, come solista è tendenzialmente assai libero, fantasioso, verrebbe da dire perfino arbitrario per il suo modo di gestire accenti, dinamiche, agogica. Difatti, il meglio delle due serate arriva con i bis: sia perché è tutto solo con sé stesso a dispiegare la sua idea, sia perché in entrambi i casi punta su Chopin, senz'altro fra i suoi autori – se non l'autore tout cort – d'elezione. Potrà piacere o non piacere, si potranno discutere alcune scelte nei Notturni, ma la confidenza con questa musica, la personalità della visione, la naturale morbidezza del tocco sono lì a dirci che quello è davvero il suo mondo, l'ambito in cui dispiega davvero il suo talento.

Beethoven, viceversa, risulta un po' troppo “chopinizzato” e, sebbene la paletta dinamica e cromatica non si compiaccia di funambolica varietà, l'approccio all'articolazione sembra rimandarci a un Ottocento più inoltrato. I concerti risalgono a un arco cronologico che va dal 1798 al 1809, raccolgono i più stretti legami con il classicismo ma accompagnano anche la fase detta “eroica”, testimoniano il trauma del testamento di Heiligenstadt; in Lisiecki non troviamo né un vero rigore, una misura di stampo settecentesco – sostituita da un generico lirismo libero e salottiero – né l'incisività drammatica emblematica di Beethoven – e di cui fanno le veci semmai alcuni scatti sempre a rischio d'arbitrio. Insomma, il suo personalissimo percorso fra i cinque concerti lascia adito a perplessità, appare in più punti interlocutorio, seppur abile nell'ottenere l'effetto desiderato in sala. Ne è conferma e sigillo un terzo movimento dell'Imperatore che a noi è parso spigoloso e nevrotico, quasi disorientante, ma che con il suo impeto ha evidentemente convinto un Lauro Rossi più che soddisfatto.

A ciascuno il suo. Personalmente, di queste due serate ricorderò più lo Chopin fuori programma del piatto forte beethoveniano.