L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Amarcord al futuro

di Roberta Pedrotti

Il Festival celebra i primi quarant'anni di collaborazione con Pierluigi Pizzi e attraverso i suoi spettacoli, rievocati nel galà conclusivo dell'edizione 2022, ripercorre la sua storia. Come insegna lo stesso regista, senza fermarsi o guardarsi troppo alle spalle, ma nemmeno perdendo il gusto e l'importanza dei ricordi.

PESARO, 21 agosto 2022 - È tempo di un sano amarcord. Per tutti, forse, ma non per il diretto interessato. Pierluigi Pizzi, novantadue anni compiuti in giugno, ripercorre volentieri i suoi quarant'anni di collaborazioni con il Rossini Opera Festival, ma non s'interessa di statistiche e record (non ha mai contato il numero di produzioni e riprese e non sembra darvi tanto peso) e continua a pensarsi attivo, a guardare avanti senza vedere per sé un futuro da umarell. “Non mi troverete a passare le giornate su una panchina indagando gli enigmi della Palla di Pomodoro” afferma quando gli viene conferita la cittadinanza onoraria di Pesaro.

Tra rondò e tournedos è una serata, la conclusiva del quarantatreesimo Rossini Opera festival, che festeggia i quattro decenni di collaborazione con Pizzi e attraversa così una parte fondamentale della sua stessa storia, distribuita in due parti: XX (i tre Tancredi, Le comte Ory, , Bianca e Faliero, Otello, Mosé in Egitto, Maometto II, Guillaume Tell) e XXI secolo (Le nozze di Teti, e di Peleo, La pietra del paragone, Il barbiere di Siviglia e, almeno nelle intenzioni, Moïse et Pharaon). Non è di poco conto che a conversare con il festeggiato sul palco ci sia, in rappresentanza dell'altro festeggiato Rof, Luigi Ferrari, direttore artistico dal 1992 al 2000. Basta scorrere rapidamente le cronologie e fare mente locale fra anagrafe e carriere per comprendere l'importanza del lavoro di Ferrari, sotto la cui egida si sono esibiti artisti (sovente dagli albori, con i primi debutti importanti) come Vladimir Jurowski, Graham Vick, Michele Pertusi, Pietro Spagnoli, Roberto De Candia, Juan Diego Florez, Antonino Siragusa, Giuseppe Filianoti, Mariella Devia, Eva Mei, Darina Takova, Sonia Ganassi, Daniela Barcellona, Laura Polverelli... e la lista potrebbe essere più lunga senza esaurire le idee (chi ricorda il Labirinto Leopardi del 1998?) che si svilupparono in quegli anni. Pieno amarcord, quindi, ma senza nostalgia: il ricordo, anzi, pungola all'azione, sebbene in più momenti ci si commuova pensando a emozioni passate.

Le rinverdiscono voci e volti di oggi, un nutrito cast formato prevalentemente da artisti impegnati nel festival che si va concludendo, ma non senza un paio di ospiti giunte appositamente: Aya Wakizono replica la sua Clarice del 2002 e la sua Rosina del 2018 (e 2020 in streaming) con voce più matura e presenza sempre fresca, pepata, sofisticata; a Maria Laura Jacobellis, già Corinna nel Viaggio a Reims nel '18 e nel '20, sono affidate la grande aria di Cerere (“Ah non potrian resistere”) e il rondò di Bianca (“Teco io resto, in te rispetto”). Nel parterre femminile manca per ragioni di salute l'annunciata Vasilisa Berzhanskaya (da cui la soppressione dell'aria prevista “Ah! D'une tendre mère” e il Moïse evocato solo dalle corrispondenti pagine italiane del Mosé in Egitto), ma se nei concertati le parti mezzosopranili sono divise fra Wakizono e Monica Bacelli, la cavatina e il doppio finale, lieto e tragico, di Tancredi sono cantati da Maria Kataeva, che conferma l'ottima impressione destata come Isolier nel Comte Ory. Eleonora Buratto, infine, riceve con pieno merito gli applausi più calorosi, grazie a una lettura cesellata nel velluto di “Giusto ciel, in tal periglio” e di “Sombre forêt”. I tenori Dmitry Korchak e Matteo Roma, il basso Giorgi Manoshvili sono impegnati solo nei pezzi d'insieme, cui danno degno apporto; Giorgio Caoduro si diverte con l'aria di Raimbaud dal Comte Ory e con la cavatina di Figaro, che Pizzi aveva voluto come ammiccante citazione della famosa scena del bagno di Anna Caterina Antonacci nella sua produzione di Un giorno di regno. A Nahuel Di Pierro spetta l'onere, invece, della mitica sortita di Maometto II, insieme con il coro del Teatro Ventidio Basso preparato da Giovanni Farina. Manca all'appello degli ascolti, fra tutte le opere allestite da Pizzi al Rof solo Otello: il regista, scenografo, costumista della memorabile edizione del 1988 sorride “L'avete appena visto, possiamo passare oltre”. È vero, come era splendido il suo Otello, così è stata notevolissima questa nuova produzione del 2022; guardiamo qualche fotografia, ma poi volgiamo anche lo sguardo al futuro, come ci insegnano i grandi, Pizzi in prima fila. Invece, lo confessiamo, aver visto un estratto, costumi e scena proiettata, del suo Comte Ory è parsa una rinfrancante riparazione dell'infelice spettacolo pure in cartellone in questo Rof. Ci sarebbe spiaciuto non rievocarlo, anche se la medesima, mediocre bacchetta, non ha permesso di spiccare pienamente il volo. Nella struttura del gala Diego Matheuz circoscrive meglio forme e caratteri, ma sul podio dell'Orchestra Rai dà sempre la sensazione di essere un neopatentato che, in pista con una Ferrari, viaggi sui cinquanta all'ora tenendo ingranata la seconda.

Al di là di questi ed altri piccoli rilievi musicali che non incrinano il clima di festa e commozione che circonda Pizzi e il Festival, una piccola notazione visiva (allestimento e luci a cura di Massimo Gasparon) pare però opportuna: bene distinguere i colloqui sullo sfondo prevalente di scorci del Teatro Rossini dai riferimenti più puntuali agli spettacoli e dai brani musicali accompagnati dalle fotografie dei vari allestimenti, ma, per l'appunto, sarebbe stato forse meglio fermarsi a queste, senza inserire effetti di flutti e cieli azzurri con nuvolette bianche (o l'eclissi per "Mi manca la voce" da Mosé in Egitto, brano che non riguarda la piaga delle tenebre), che poco hanno a che fare con certe meraviglie visive create da Pizzi a Pesaro. Meraviglie visive che non erano nemmeno fini a sé stesse, bensì sempre legate a una precisa concezione estetico-drammaturgica. Senza che necessariamente tutto ci dovesse piacere allo stesso modo, anzi: il bello dell'arte e di un festival come questo è anche mettersi in discussione, confrontare, amare e quindi infiammarsi pure nel disappunto, che non è mai astio o malafede. L'indifferenza è bandita.

Così, con una lacrima e un sorriso ma senza retorica, salutiamo anche questo Rof. Di rondò ne abbiamo avuti, i tournedos sono stati evocati in relazione al godereccio Ory, ma ci sono anche quelli veri: da provare, per esempio, al Rossini Bistrot, consigliatissimi.


Vuoi sostenere L'Ape musicale?

Basta il costo di un caffé!

con un bonifico sul nostro conto

o via PayPal

 



 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.