Le forme del tempo

di Roberta Pedrotti

La ricca estate dell'Accademia Chigiana di Siena si chiude con La Senna festeggiante di Vivaldi, frutto di una bella collaborazione con il Mozarteum di Salisburgo sotto la direzione di Alfredo Bernardini.

SIENA, 2 settembre 2022 - L'estate, a Siena, è già finita. È finita il 17 agosto, un giorno dopo il consueto a causa del rinvio per pioggia del Palio dell'Assunta. Oggi, all'inizio di settembre, le bandiere del Leocorno continuano a festeggiare intorno al Drappellone portato in giro per la città e già si riparla della vittoria di Montaperti, settecentosessantadueanni domenica 4, ma è come se fosse ieri, o anche oggi. Siena è così, una città con un tempo – e un suono – tutto suo. Se ne avverte la consistenza anche nella visita pomeridiana al complesso di Santa Maria della Scala, ospedale, orfanotrofio, asilo per gli indigenti fondato prima dell'anno Mille e attivo fino al 1995. Se l'antica struttura sanitaria impressiona per cura artistica e funzionalità, ancor più colpisce il percorso a ritroso dall'esposizione dell'artista contemporaneo Luigi Ballarin, che associa le geometrie degli arabeschi turchi alla figura (sacra a Siena) del cavallo, fino giù negli anfratti più reconditi dell'edificio, negli umidi cunicoli scavati nel tufo per l'antico sistema idraulico e oggi sede del museo archeologico nazionale, di un percorso sulla storia della città fin dai primi abitati d'epoca etrusca. C'è anche un Museo d'arte per bambini e c'è una splendida sezione dedicata a Fonte Gaia, la fontana di Piazza del Campo realizzata all'inizio del XV secolo da Jacopo della Quercia: quando le sue sculture si deteriorarono, nel XIX secolo, ne fu commissionata una copia a Tito Sarrocchi, cui si deve ciò che ora vediamo in Piazza. Qui, però, possiamo osservare ciò che resta delle statue originarie, i calchi in gesso che vennero effettuati e i bozzetti di Sarrocchi. Uguali, sembra, eppure piccoli dettagli nei panneggi, nei lineamenti, negli atteggiamenti e nelle proporzioni ci dicono che uguali non sono, che Jacopo della Quercia, coevo di Donatello, veniva dal gotico, mentre Tito Sarrocchi dai modelli canoviani.

Guardare e riguardare al passato, sentirlo come presente ma mai uguale a sé stesso, ché mutano gli occhi con cui l'osserviamo. Sono le riflessioni che emergono anche quando, la sera, nella chiesa di Sant'Agostino, assistiamo al grande concerto di chiusura dell'estate dell'Accademia Chigiana. L'estate finisce anche per la musica e il saluto è in grande stile, con la ripresa della Senna festeggiante di Vivaldi, serenata del 1726 che proprio a Siena con la Chigiana nel 1949 venne riscoperta in epoca moderna sotto la direzione di Carlo Maria Giulini e con Cesare Siepi protagonista (la Senna, per la tradizione classica che incarna i fiumi in figure maschili, ha voce di basso). Giulini, Siepi: non si poteva chiedere di meglio e, tuttavia, oggi guardiamo a quel repertorio in modo diverso, che chiamiamo storicamente informato ma che, probabilmente, fra un'altra settantina d'anni sarà venerabile passato a cui si è avvicendata altra prospettiva.

Oggi. Oggi come allora si cerca di fare il meglio possibile per come l'intendiamo noi contemporanei. Innanzitutto nell'intento: la Chigiana è un'accademia? E allora si produca la Serenata in ambito accademico, con gli allievi affiancati dai docenti, in collaborazione con un'altra storica istituzione, punto di riferimento per tutto quel che riguarda il Settecento e dintorni, il Mozarteum di Salisburgo. L'idea di questo BaroqueLAB è nobile e virtuosa, il risultato all'altezza delle aspettative e del testo grazie alla qualità delle giovani leve, all'autorevolezza dei docenti, allo spirito di collaborazione e alla guida di Alfredo Bernardini. La sua concertazione non solo trasmette un appagante senso di serenità e collaborazione, ma porge il testo con un respiro, un fluire di colori e gradazioni dinamiche e agogiche naturalissimo e che pure non affonda mai in un'eleganza uniforme. Anzi, in un testo che drammaturgicamente non ha granché da dire (sulle sponde del fiume si incontrano la Virtù e l'Età dell'oro per tessere le lodi della monarchia francese), sa trovare senza forzature adeguati rapporti di tensione e chiaroscuri, come nei primi numeri della seconda parte, in cui si manifesta la maestà sovrana.

Il cast allinea l'Età dell'oro del soprano Zsófia Szabó , la Virtù del contralto Marta Pacifici e la Senna del basso Roland Faust. Anche i non madrelingua, pur con meno disinvoltura fonetica, dimostrano una buona comprensione e articolazione del senso del testo; piace l'impasto delle voci femminili ben differenziate, il gusto nel porgere che asseconda le indicazioni di nobiltà e freschezza provenienti da Bernardini, fra la serena brillantezza del soprano e la pacata dignità del contralto. Faust, da parte sua, è una Senna vivida e autorevole, capace di affrontare con sicura consapevolezza stilistica una tessitura assai ampia senza mai perdere di vista il carattere di un personaggio che, per quanto allegorico al pari degli altri, rappresenta una concretezza storica rispetto ai principi simbolici incarnati dalle voci più acute.

Fa piacere constatare che questo bell'impegno sia stato accolto da un pubblico numeroso, attento e infine giustamente generoso, in parallelo con l'esito pure lusinghiero del concerto d'apertura con Mahler e Nono [Siena, Dal silenzio, 05/07/2022]. Dal Novecento a Vivaldi: anche la Chigiana ha attraversato il tempo a ritroso per raccontarci che il tempo dell'arte e della sua interpretazione non è una linea retta, né i suoi elementi sono mai finiti e immutabili.