L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Famiglia Dvořák

di Luigi Raso

Mark Elder debutta al teatro di San Carlo con un programma in cui Stravinskij è incorniciato da partiture di Antonín Dvořák e del genero Josef Suk. La cura minuziosa del maestro inglese e la performance eccellente dell'orchestra sono premiate da calorosissimi applausi

NAPOLI, 9 settembre 2022 - A Sir Mark Elder è sufficiente il bellissimo Scherzo fantastique, op. 25 (composto tra 1902 e 1903) di Josef Suk, discepolo e genero di Antonín Dvořák, per conquistare, grazie alla sua naturale affabilità, al gesto chiaro e prepotentemente evocativo il pubblico del San Carlo presente alla ripresa della stagione sinfonica. Per prima cosa c’è da registrare e lodare l’ottima forma in cui ritroviamo l’Orchestra del San Carlo. Siamo ormai abituati a performance dal livello tecnico ben più che eccellente; ma stasera l’orchestra ci ha colpito per la qualità dei colori, l’intensità degli archi, la precisione, duttilità e scintillio dei fiati tutti, l’incisività e la ponderazione sonora delle percussioni.

Sir Mark Elder, alla sua prima apparizione al San Carlo, dà subito l’impressione di aver individuato i pregi dell’orchestra e di esaltarli al meglio; cura, con gestualità morbida e suadente, il meraviglioso tema introdotto dai violoncelli nello Scherzo fantastique di Suk: il tema, che ricorrerà frequentemente nel corso di questo brano sinfonico raffinato e piacevole, è come adagiato nel bel mezzo dell’orchestra con una sapienza da concertatore sbalorditiva. Tra le ridde di danze frenetiche dello Scherzo Elder ci fa assaporare lo slancio ricorrente, incalzante come un refrain che si insinua nella memoria. E a colpirci sono il controllo delle dinamiche, la capacità di amalgamare nel corso degli episodi musicali di cui si compone lo Scherzo atmosfere sonore tra loro opposte. Il fascino del brano, dal piacere epidermico, deriva proprio dalla presenza di questi contrasti musicali, tra i temi e tra le sezioni orchestrali, tutti alla fine ricondotti a unità dal controllo e dalla sapienza tecnica di Mark Elder. La precisione, l’energia e l’analisi al microscopio della partitura che si sono apprezzata nel primo brano di Josef Suk in programma, appaiono ancor più accentuate durante l’esecuzione di Jeu de cartes (1936) di Igor Stravinskij.

Elder tratta l’orchestra come se fosse un grande complesso da camera per quanta è la cura che dedica alla precisione, all’incisività, al dialogo fitto tra le famiglie orchestrali. Jeu de cartes è una partitura che pulsa ritmicamente dalla prima all’ultima battuta: il fremito ritmico impresso all’Orchestra - e perfettamente tenuto nel corso dell’intera esecuzione del brano - è incessante e strasborda di energia: la sensazione è di trovarsi davanti a un meccanismo perfetto ben caricato di energia che viene rilasciata gradualmente. Molto ben curato è il suono, luminoso, nitido e fendente. Perfetti gli interventi delle prime parti.

Il concerto si apre e si chiude all’interno della famiglia Suk - Dvořák: l’ultimo brano in programma è, infatti, la Sinfonia n. 8 in Sol maggiore, “Inglese”, op. 88 (1889) di Antonín Dvořák, suocero di Josef Suk. 

L’Allegro con brio, aperto dal malinconico e patetico tema introdotto dai legni e dai violoncelli, sotto la direzione (a mani nude, e a memoria!) di Mark Elder diventa progressivamente più incandescente: l’arrivo al climax espressivo è trionfale. Ritorna, per risuonare poderosamente, il tema iniziale. Il successivo Adagio, dal sapore cupo alla Čajkovskij, è letteralmente scolpito da Elder e dall’Orchestra del San Carlo con un fraseggio analitico e tormentato, che conferisce all’intero movimento un’atmosfera misteriosa. Da lodare la compattezza e la raffinatezza del suono orchestrale, di tutte le sezioni, la precisione delle prime parti che con i loro interventi hanno aggiunto colori e “profumi” a un bozzetto orchestrale di struggente intensità. È evanescente e sembra provenire da lontano l’attacco del III movimento, Allegretto grazioso: gli archi sono intensi, fraseggiano con uno spiccato senso del cantabile. L’atmosfera cambia; il movimento acquista un sapore popolaresco, evocando danze e canti popolari che sfociano in quel sabba orchestrale dell’Allegro, ma non troppo del quarto e ultimo movimento, al quale Mark Elder imprime un sorprendente sbalzo ritmico e sonoro: si è soggiogati dalla potenza sonora sprigionata dall’orchestra, dal ribattere ossessivo della ritmica dell’ultimo movimento e dalle dinamiche incalzanti. Al termine, l’energia promanata dall’Orchestra si impossessa del pubblico (ancora una volta non folto come il pregio del concerto avrebbe meritato): il successo è pieno e meritato.

Si nota con piacere che i più calorosi fans del simpatico e signorile maestro britannico siano i professori d’orchestra: i loro segnali di approvazione si uniscono agli applausi lunghi e calorosi del pubblico.

<p><strong>San Carlo, 09.09.2022</strong></span></span></p>

<p><strong>Mark Elder</strong></span></span></p>

<p>A Sir Mark Elder è sufficiente il bellissimo </span></span><em>Scherzo fantastique</em></span></span>, op. 25 (composto tra 1902 e 1903) di Josef Suk, discepolo e genero di Antonín Dvořák, per conquistare, grazie alla sua naturale affabilità, al gesto chiaro e prepotentemente evocativo, il pubblico del San Carlo presente alla ripresa della stagione sinfonica.</span></span></p>

<p>Per prima cosa c’è da registrare e lodare l’ottima forma in cui ritroviamo l’Orchestra del San Carlo. Siamo ormai abituati a performance dal livello tecnico ben più che eccellente; ma stasera l’orchestra ci ha colpito per la qualità dei colori, l’intensità degli archi, la precisione, duttilità e scintillio dei fiati tutti, l’incisività e la ponderazione sonora delle percussioni.</span></span></p>

<p>Sir Mark Elder, alla sua prima apparizione al San Carlo, dà subito l’impressione di aver individuato i pregi dell’orchestra e di esaltarli al meglio; cura, con gestualità morbida e suadente, il meraviglioso tema introdotto dai violoncelli nello </span></span><em>Scherzo fantastique</em></span></span> di Suk: il tema, che ricorrerà frequentemente nel corso di questo brano sinfonico raffinato e piacevole, è come adagiato nel bel mezzo dell’orchestra con una sapienza da concertatore sbalorditiva. Tra le ridde di danze frenetiche dello Scherzo Elder ci fa assaporare lo slancio ricorrente, incalzante come un </span></span><em>refrain</em></span></span> che si insinua nella memoria. E a colpirci sono il controllo delle dinamiche, la capacità di amalgamare nel corso degli episodi musicali di cui si compone lo Scherzo atmosfere sonore tra loro opposte. </span></span></p>

<p>Il fascino del brano, dal piacere epidermico, deriva proprio dalla presenza di questi contrasti musicali, tra i temi e tra le sezioni orchestrali, tutti alla fine ricondotti a unità dal controllo e dalla sapienza tecnica di Mark Elder. </span></span></p>

<p>La precisione orchestrale, l’energia e l’analisi al microscopio della partitura che si sono apprezzata nel primo brano di Josef Suk in programma, appaiono ancor più accentuate durante l’esecuzione di </span></span><em>Jeu de cartes</em></span></span> (1936) di Igor Stravinskij. </span></span></p>

<p>Elder tratta l’orchestra come se fosse un grande complesso da camera per quanta è la cura che dedica alla precisione, all’incisività, al dialogo fitto tra le famiglie orchestrali. </span></span></p>

<p><em>Jeu de cartes </em></span></span>è una partitura che pulsa ritmicamente dalla prima all’ultima battuta: il fremito ritmico impresso all’Orchestra - e perfettamente tenuto nel corso dell’intera esecuzione del brano - è incessante e strasborda di energia: la sensazione è di trovarsi davanti a un meccanismo perfetto - l’orchestra - ben caricato di energia che viene rilasciata gradualmente. </span></span></p>

<p>Molto ben curato è il suono orchestrale, luminoso, nitido e fendente. Perfetti gli interventi delle prime parti dell’orchestra.</span></span></p>

<p>Il concerto si apre si chiude all’interno della famiglia Suk - Dvořák: l’ultimo brano in programma è, infatti, la </span></span><em>Sinfonia n. 8 in Sol maggiore, “Inglese”, op. 88 (1889)</em></span></span> di Antonín Dvořák, suocero di Josef Suk. </span></span></p>

<p>L’</span></span><em>Allegro con brio, </em></span></span>aperto dal malinconico ed patetico tema introdotto dai legni e dai violoncelli, sotto la direzione (a mani nude, e a memoria!) di Mark Elder diventa progressivamente più incandescente: l’arrivo al climax espressivo è trionfale. Ritorna, per risuonare poderosamente, il tema iniziale. </span></span></p>

<p>Il successivo </span></span><em>Adagio</em></span></span>, dal sapore cupo alla Cajkovskij, è letteralmente scolpito da Elder e dall’Orchestra del San Carlo con un fraseggio analitico e tormentato, che conferisce all’intero movimento un’atmosfera misteriosa. Da lodare la compattezza e la raffinatezza del suono orchestrale, di tutte le sezioni, la precisione delle prime parti che con i loro interventi hanno aggiunto colori e “profumi” a un bozzetto orchestrale di struggente intensità. </span></span></p>

<p>È evanescente e sembra provenire da lontano l’attacco del III movimento, </span></span><em>Allegretto grazioso: </em></span></span>gli archi sono intensi, fraseggiano con uno spiccato senso del cantabile.</span></span></p>

<p>L’atmosfera cambia; il movimento acquista un sapore popolaresco, evocando danze e canti popolari che sfociano in quel sabba orchestrale dell’</span></span><em>Allegro, ma non troppo </em></span></span>del quarto e ultimo movimento</span></span><em>, </em></span></span>al quale Mark Elder imprime un sorprendente sbalzo ritmico e sonoro: si è soggiogati dalla potenza sonora sprigionata dall’orchestra, dal ribattere ossessivo della ritmica dell’ultimo movimento e dalle dinamiche incalzanti.</span></span></p>

<p>Al termine, l’energia promanata dall’Orchestra si impossessa del pubblico (ancora una volta non folto come il pregio del concerto avrebbe meritato): il successo è caloroso e meritato.</span></span></p>

<p>Si nota con piacere che i più calorosi fans del simpatico e signorile maestro britannico siano i professori d’orchestra: i loro segnali di approvazione si uniscono agli applausi lunghi e calorosi del pubblico. </span></span></p>


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