Dolcezze e tormenti di Robert e Felix

di Roberta Pedrotti

Un bel concerto al Teatro Manzoni di Bologna mette a confronto, con la bacchetta di Roberto Abbado e il pianoforte di Benedetto Lupo, Schumann e Mendelssohn come contemporanei affini e complementari.

BOLOGNA, 17 ottobre 2022 - Fresco di ultima recita della Forza del destino al Festival Verdi sul podio dei complessi del Comunale di Bologna [Parma, La forza del destino, 22/09/2022], Roberto Abbado arriva nella città petroniana con la Filarmonica, di cui è direttore principale, dello stesso Comunale per un programma dedicato a Mendelssohn e Schumann, quasi coetanei ed entrambi morti prematuramente, con due partiture pressoché contemporanee: il Concerto per pianoforte e orchestra in La minore op. 54 del secondo (1845) e la Sinfonia n. 3 Scozzese del primo (1843).

Un accostamento che Abbado mette a buon frutto fin da subito, con una lettura del Concerto che esalta le caratteristiche del solista Benedetto Lupo, la sua autentica sprezzatura nel tocco che dipana la semplicità senza banalizzarla né mai giocare all'esercizio di stile o allo sfoggio tecnico. Il puro pianismo di Robert per Clara sembra, allora, quasi riverberarsi, amplificarsi nella risposta dell'orchestra. Si ribalta, insomma, in positivo la battuta di Liszt sul “concerto senza solista”, ché l'unità d'intenti nello sviluppo tematico e nei rapporti timbrici fra pianoforte e orchestra non è un limite, bensì un pregio che sull'assenza di virtuosismo abbacinante impone la classe del fraseggio, il controllo dissimulato dall'arte. Diventa, allora, quasi un naturale sbocco del programma (intelligente abitudine di Lupo) la scelta dei bis, due intermezzi di Brahms che offrono non solo una continuità biografica nata dallo stretto rapporto con i coniugi Schumann-Wieck, ma anche musicale nell'essenzialità di una scrittura di cui il solista calibra a meraviglia l'articolazione dinamica e coloristica.

La seconda parte risulta poi, perfettamente complementare, ché il tormentato Robert trova in questa scrittura per e con Clara un anelito quanto mai concreto di serenità – in cui tuttavia Abbado non rinnega un vibrante fremito interiore prossimo al turbamento – mentre Felix, in genere assimilato a un olimpico sorriso, esprime nell'evocazione romantica del viaggio in Scozia un movimento di chiaroscuri che va ben al di là del pittoresco e che il direttore abbraccia con acuto trasporto, sia dove si ammicca alla féerie, sia quando le atmosfere si fanno più cupe e tempestose. L'orchestra, peraltro, lo segue bene, con un impeto sempre ben dominato e sollecitato dalla bacchetta. Un lieve inciampo dalle parti degli ottoni può far parte degli incidenti di percorso, ma ciò che conta è che il cammino si snodi chiaro e sicuro nel suo complesso, ben tracciato e meditato, sempre in un porgere che non sa di tecnicismi, intellettualismi ed eventuali altri ismi che trasformano la consapevolezza in artificio.

Davvero un bel concerto, salutato da pubblico con giusto calore, a dimostrazione della felicissima fase artistica vissuta da Abbado in questo periodo, della buona affinità con i professori bolognesi, della qualità di un pianista di grande valore e non pari risonanza mediatica come Lupo.