Mahler contemporaneo

di Alberto Ponti

Un’interpretazione destinata a rimanere nella memoria della Sinfonia ‘Resurrezione’ apre la stagione 2022/2023 dell’Orchestra Sinfonica Nazionale, segnando il ritorno alla normalità dopo tre stagioni fortemente influenzate dalle restrizioni per covid

TORINO, 20 ottobre 2022 - Due anni e mezzo. Il cerchio si riapre dove si era chiuso. In uno degli ultimi concerti prima del lockdown per covid-19, alla fine del gennaio 2020, James Conlon aveva diretto la seconda sinfonia di Mahler ‘Resurrezione’.

Dopo tre stagioni a brandelli, lacerate dall’incertezza del virus, l’apertura del programma 2022/2023, rassicurante e rassicurata ora che la malattia pare domata se non ancora debellata, è affidata ancora allo stesso capolavoro. L’atmosfera dell’Auditorium Rai è lieta e grandiosa. Mercoledì 19 ottobre in sala non c’era un solo posto libero e, ancora giovedì 20, mancava poco al tutto esaurito.

Sul podio Fabio Luisi, direttore emerito dell’Orchestra Sinfonica Nazionale, è protagonista di due serate memorabili e indimenticabili. La sua Seconda ha il respiro solenne e drammatico che le può imprimere solo un concertatore di razza ma, allo stesso tempo, trasuda passione, ricerca, studio approfondito di una partitura tra le più complesse del repertorio sinfonico. L’estrema varietà di scritture, la vastità di espressioni dei tempi che la compongono potrebbe condurre a divagazioni, a scelte che privilegiano alcuni parti a scapito di altre, a zone d’ombra non rischiarate da nessuna luce redentrice, penalizzando l’aspetto unitario del lavoro. Nulla di questo accade con Luisi, abile a portare a termine la navigazione nell’oceano mahleriano con un senso di unità, di compattezza priva di sfilacciature. Lo spietato Todtenfeier (‘Rito dei morti’)del primo movimento, dove si porta a seppellire, con le stesse parole del compositore, l’eroe della sua prima sinfonia, trascolora nella contemplazione metafisica dell’Andante moderato per ravvivarsi nello Scherzo e nei due tempi cantati finali. Gli squilli trionfali degli ottoni si legano nel ricordo all’urlo strozzato e furioso, alla discesa verso il precipizio che aveva aperto l’opera.

Tutti i reparti dell’orchestra si mostrano al meglio. Dalla nervosa articolazione degli archi dell’Allegro maestoso scaturisce il passo della sinfonia, il gioco degli staccati si stempera poco a poco nell’ipnotico motivo discendente all’unisono con le arpe per innalzarsi nelle volute impalpabili del secondo tema, sogno lontano, anticipatore della resurrezione promessa, intravista da lontano.

Gli interventi dei fiati sono puntuali, precisi, curatissimi nel suono ora pungente ora levigato. A Luisi sono sufficienti pochi gesti per farsi intendere: negli interventi solistici, cruciali in Mahler, ogni prima parte trova in modo immediato il giusto colore, la trasparenza di una lacrima trattenuta o l’ebbrezza segreta di un passo di danza appena accennato. Anche negli impetuosi, spesso folgoranti passi d’insieme il controllo del podio è sempre totale, nulla è lasciato al caso. Dai fortissimo segnati con tre f è assente qualsiasi tentazione rumoristica. L’esplosione di masse sonore impressionanti, soprattutto nel finale, si alimenta di una schiera percussiva con ben sei esecutori, di venti ottoni sul palco e altri in lontananza, all’insegna di effetti stereofonici inediti all’epoca della stesura (1888-1895). Ebbene, in tali frangenti, con la tentazione di farsi prendere la mano dall’effetto teatrale gratuito e fine a se stesso, la visione d’insieme di Luisi rimane lucida e pura, i tasselli più ingombranti combaciano in un quadro d’insieme in cui dominano la cura del fraseggio, la sensibilità del discorso, il rigore formale. Non si pensi tuttavia a un Mahler algido o trattenuto: il ritratto del compositore che ne esce è quello di un compagno di strada contemporaneo. Non tanto o non solo l’anticipatore delle tragedie del secolo breve, la sua musica investita per anni della funzione premonitrice, ma un profondo interprete della contraddizioni dell’esistenza, identica nell’intima essenza per l’uomo di ieri e di oggi. In questa ‘Resurrezione’ si piange e si ride e si contemplano le infinite sfumature intermedie; ci sono ironia, inquietudine, ebbrezza, rabbia, paura e speranza. Un vortice di sensazioni attuale come non mai. La sintesi perfetta e suprema si ha nello straordinario Scherzo in terza posizione, In ruhig fliessender Bewegung (‘Con moto tranquillo e scorrevole’). Intorno al tema del lied della predica ai pesci di Sant’Antonio da Padova ruotano le mille voci del mondo, e, sotto l’occhio attento della bacchetta del maestro, nessuna prevale nel groviglio incoerente e volubile della vita, non vanno perduti il soffio dell’ottavino e il tintinnio del triangolo.

Di alto livello sono le voci chiamate a intervenire nella parte conclusiva: il contralto tedesco Wiebke Lehmkuhl che intona con caldo pathos il breve movimento Urlicht (‘Luce primigenia’), e il soprano rumeno Valentina Farcas, entrambe protagoniste, con il coro del Teatro Regio di Torino (un’eccellenza di cui il capoluogo piemontese deve andare fiero), diretto da Andrea Secchi, del solenne inno Aufersteh’n (‘Risorgerai’) posto a coronamento della monumentale pagina.

La meravigliosa esecuzione è premiata da lunghi applausi e ovazioni, che, per il momento particolare e il suo valore simbolico, si vorrebbe non finissero mai.