L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La forza nella poesia, l'arte nella tecnica

di Roberta Pedrotti

Antonii Baryshevskyi torna a Bologna per Conoscere la Musica con un recital entusiasmante in cui Beethoven e Schumann incontrano l'antico e il contemporaneo.

BOLOGNA, 20 ottobre 2022 - Antonio Baryshevskyi è di casa a Bologna, dove fece il suo debutto nel 2013 [leggi la recensione], prima ancora di vincere il concorso Rubinstein, e suonò poi anche al Comunale alla fine del 2019 [Bologna, concerto Baryshevskyi / Uryupin, 23/11/2019]. Il suo ritorno era previsto da tempo, ma nessuno avrebbe potuto immaginare cosa, dopo la pandemia sarebbe avvenuto e che nello scorso febbraio il pianista si sarebbe trovato nei sotterranei della natia Kiyv bombardata dai russi. Inevitabile che, da allora, i concerti di Baryshevskyi siano dedicati alla madrepatria. 

È facile immaginare, ma forse impossibile comprendere fino in fondo lo stato d'animo di chi, in qualunque parte del mondo, ha visto la guerra, la violenza, la miseria e deve fuggire. Baryshevskyi ammette di non riuscire a suonare i suoi amati autori russi, e non ne fa proclama politico, bensì personale conseguenza di un trauma che spera di superare. Per il resto, oggi, la sua classe è intatta e l'artista appare perfino più profondo e concentrato di quanto non ricordassimo, in un programma impaginato con grande intelligenza e sorprendenti suggestioni.

Leggendo, infatti, l'elenco degli autori potrebbe venire da pensare a un pot pourri di grandi classici con una puntata contemporanea in Ucraina. Ma Bach, Scarlatti, Beethoven, Maxim Shalygin (classe 1985) e Schumann non son messi lì a caso a far bella mostra di sé: costruiscono un discorso. Si parte dalle origini ideali della scrittura per tastiera e si spazzano via tutte le diatribe sull'uso di un pianoforte moderno per la letteratura cembalistica. Sì, Baryshevskyi suona uno strumento che non ha nulla a che vedere con quelli di Bach (Toccata in mi minore BWV 914) e Scarlatti (sonata in Mi maggiore K 380, in Si minore K 87 e in Re maggiore K 96), ma lo fa dannatamente bene, con quel tratto veramente moderno, contemporaneo, ripulito dalle leziosaggini di chi, sì, vuol trasformare il barocco in turgido romanticismo. Qui è tutto giusto, netto, ma con colore, con respiro, piccolo miracolo di equilibrio, tecnica e gusto che sembra portarci inevitabilmente a Beethoven con un'Appassionata scrupolosissima nell'attenzione al dettato dell'autore e per questo mai irrigidita, sempre propulsiva, ricca di chiaroscuri, abbacinante nella continuità del discorso fino a un quarto movimento dominato con una sapienza dinamica rara. Se al primo impatto, nove anni fa, notammo il vigore di un pianismo forgiato nelle scuole dell'est Europa, ora lo ritroviamo sempre più indirizzato a un'incisività ponderatissima, energica, a tratti folgorante ma mai muscolare o sfrenata. Il tocco calibrato di Baryshevskyi si impone sempre in un pensiero e per questo soggioga.

Un esempio lampante viene poi dalla seconda parte, dove il percorso è a ritroso: dopo il barocco che porta all'ottocento, ecco l'ottocento introdotto dal contemporaneo. Angel di è un pezzo apparentemente semplicissimo, poche note, distese, nessuna audacia apparente, un finale sospeso e interrogativo. Bisogna farne poesia, e Baryshevskyi la fa con l'ossimoro di un suono denso e pure impalpabile fino a svaporare senza tuttavia sfocarsi o perdersi nella memoria. Un perfezionismo che di per sé potrebbe sembrare assertivo non risulta mai fine a sé stesso e si piega, viceversa, in una continua ricerca artistica. Così Baryshevskyi domina gli Studi sinfonici op. 13 di Schumann, con un'eloquenza nobile e ispiratissa nell'articolazione dei temi, nel sentire come cosa sola la forma e il fraseggio. Il controllo tecnico è espressione di un pensiero che si traduce in colore, dinamica, in un'anima che innerva ogni variazione senza perdere di vista né l'idiomaticità dello strumento né l'ideale ispirazione sinfonica, sicché logos e pathos trovano una sintesi rigorosa e insieme pulsante di vita, di un'energia convogliata con sapienza. 

Purtroppo, la sala del Manzoni non è piena come un concerto di questo livello avrebbe meritato, ma i presenti non fanno mancare il loro calore con una standig ovation finale, cui Baryshevskyi risponde con tre bis: immancabile Valentyn Syl'vestrov, il più eminente compositore ucraino contemporaneo, con Kitsch Music n. 1 suonata con disarmante nonchalance, poi Chopin, lo Studio op. 10 n. 12 Rivoluzionario, così intenso e incisivo e pure perfettamente tornito nel suono [come non pensare al suo CD dedicato proprio a Chopin?], infine l'Agnus Dei di Shalygin. Anche qui, anche nei fuori programma, un disegno drammaturgico sottende le scelte musicali, la poesia del controllo di un pianista che possiamo a tutti gli effetti considerare fra i più grandi di oggi.

 


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