Franz, Clara e Robert

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia apre la stagione 2022/2023 con un programma che ha nel Concerto per pianoforte in la minore op. 7 di Clara Wieck, sposata Schumann, il suo fiore all’occhiello. Il maestro Pappano è alla guida dell’orchestra, mentre la talentuosa Beatrice Rana siede alla tastiera. Non è un caso che Clara sieda, per così dire, in mezzo a due giganti della musica, come Franz Schubert, da lei ammirato, di cui si esegue la Sinfonia n. 8 in si minore D 759, “Incompiuta” e Robert Schumann, suo marito, di cui Pappano dirige la Sinfonia n. 2 in do maggiore op. 61.

ROMA, 3 novembre 2022 – I gender studies (troppo spesso vituperati, senza essere pienamente compresi) hanno avuto il merito di dare slancio alla riscoperta di alcune figure della storia che sarebbero, altrimenti, passate sotto indegno silenzio. L’applicazione dei gender studies alla musica ha permesso la rivalutazione di una serie di musiciste troppo spesso obliate nelle odierne sale da concerto. L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia si mostra dunque sensibile ad un giustamente rinnovato spirito dei tempi e inserisce nella sua stagione pezzi di autrici come Clara Schumann e Fanny Mendelssohn.

Il concerto d’apertura vede proprio la presenza del Concerto per pianoforte in la minore op. 7 di Clara Wieck, sposata a Schumann. Pur essendo in seconda posizione (dopo l’esecuzione dell’Ottava di Schubert), vorrei iniziare proprio da questo. Un Concerto, quello di Clara, splendidamente romantico, con aperture incredibili verso sonorità moderne e con un uso dell’orchestra che risulta impressionante per una ragazza che era praticamente un’adolescente. L’intesa fra la Rana e Pappano è eccellente; l’orchestra suona magnificamente. Ciò che rende suadente ed accattivante la partitura di questo concerto è la profusione dell’inventiva melodica di Clara coniugata ad una straordinaria sensibilità per gli impasti orchestrali. La Rana mostra tocco straordinario, sensibilità esecutiva venata di una lieve malinconia nel leggere le cadenze, che si colorano degli interventi, in particolare, di un violoncello solo. Il Concerto di Clara, infatti, è singolare anche per il peso dato alla parte solistica del pianoforte nella Romanza (II) e all’idea di farlo dialogare con un violoncello, il che crea un effetto quasi cameristico. Nel rutilante Finale la Rana dà prova del suo virtuosismo più sciolto, sorretta dalla direzione galoppante di Pappano. Il pubblico applaude trascinato da tanta bellezza; la Rana, prima di congedarsi dopo i meritati applausi, esegue una delle romanze di Schumann (op. 28, n. 2).

Veniamo, ora, alla parte sinfonica. Il concerto si era aperto con l’esecuzione dell’Ottava di Schubert, nota come l’ “Incompiuta”. Devo ammettere di non aver trovato pienamente convincente, in questo caso, l’esecuzione di Pappano. La direzione era, forse, in più punti poco incisiva; mancava, inoltre, quell’energia che scorrerà a fiumi, come si vedrà, nella successiva Seconda di Schumann. Forse l’idea di Pappano era quella di restituire un’Ottava meno drammatica e più neutra; così facendo, però, ovatta diversi momenti che avrebbero necessitato di essere, per così dire, effettivamente ‘sprigionati’. Si pensi, per esempio, al contrasto cromatico fra la cupezza dell’incipit della sinfonia, dove si staglia il primo tema, intonato da un clarinetto, quasi in lontananza; o gli effetti, più rasserenanti, del danzante secondo tema (affidato agli archi) e al suo sviluppo, pur ricco di tensioni. Insomma, l’Allegro moderato è forse il movimento più sacrificato nell’esecuzione di Pappano. Va meglio, sicuramente, con la lettura dell’Andante con moto, indimenticabile per la dolcezza del suo tema. Come anticipato, certamente migliore è stata l’esecuzione della Seconda di Schumann, leggendo la quale Pappano sprigiona un’energia trascinante. L’orchestra risponde magnificamente e genera colori indimenticabili. Si pensi all’assertivo I movimento, che nell’Allegro ma non troppo genera uno sviluppo della forma sonata al cardiopalma, tal è anche il finale, l’Allegro molto vivace, che Pappano, letteralmente, cavalca portando l’orchestra ad invadere prepotentemente la sala (di una prepotenza, chiaramente, ben gradita dal pubblico). Lo stesso Pappano, che aveva mostrato impareggiabile tocco per le timbriche e senso del ritmo dello Scherzo, legge un appassionato Adagio espressivo, dove sottolinea le lunghe linee degli archi, che vibrano dell’energia sprigionata dal genio di Schumann. Il pubblico scoppia, alla fine, in un applauso fragoroso.