Il fumo e il chiostro

di Roberta Pedrotti

Spiccano le prove dei protagonisti Vittorio Prato e Lavinia Bini (Il segreto di Susanna) e Chiara isotton (Suor Angelica) nell'insolito dittico in scena al Filarmonico di Verona.

VERONA, 4 febbraio 2022 - La serata inizia quasi come una fiaba e vien voglia di prendersi un po' di tempo per raccontarla, perché andare a teatro non è un'esperienza che riguarda solo il tempo della rappresentazione. C'è da fare un tratto in autobus, per raggiungere il Filarmonico, ma una corsa è saltata e forse anche la successiva, in pauroso ritardo. Ormai manca pochissimo al levarsi del sipario, la stradina di periferia è buia e fredda, quando all'improvviso passa un taxi, mi nota, accosta “è libero?” “Sì”. È un ragazzo fresco di licenza che ha appena preso servizio e mi permette di arrivare in tempo a teatro, un ragazzo che non solo appare come un magico aiutante delle fiabe, ma mentre faccio per estrarre i contanti mi propone pure di pagare con la carta: tutto in regola. Presa dall'ansia di arrivare in tempo, ho scambiato solo poche parole, ma spero che si ricordi il nome “L'ape musicale” e che gli arrivi il mio augurio di buon lavoro, dopo questa prima corsa provvidenziale.

Trafelatissima, dunque, guadagno la platea del Filarmonico, purtroppo semivuota: peccato davvero che si faccia così fatica a far affezionare i veronesi al loro teatro al chiuso. Peccato. Il dittico in cartellone non sarà forse dei più popolari, ma è stuzzicante, agile, e c'è pur sempre il nome di Puccini. Il momento suggerisce di puntare su titoli meno impegnativi sul piano dei numeri e delle durate, e la necessità si può fare virtù pescando nel repertorio di atti unici, farse e intermezzi che, magari, in tempi normali, qualcuno teme sembrino un po' miserelli. In una sorta di trittico pucciniano diluito e dilatato, in realtà, prima della pandemia avevamo già avuto Il maestro di cappella abbinato a Gianni Schicchi, oggi Il segreto di Susanna di Wolf Ferrari con Suor AngelicaIl tabarro in inedita compagnia (Il parlatore eterno di Ponchielli) è apparso solo in streaming e lo aspettiamo per un pubblico in carne e ossa..

Fra le due opere si cercano legami, è comprensibile: due donne protagoniste, entrambe con un segreto, ora lieve ora tragico. In sostanza, però, non si tratta che di due atti unici italiani del primo '900, due esempi di un genere declinato in commedia o in tragedia, l'uno erede dell'antico intermezzo (battibecco e lieto fine per primadonna e baritono/buffo), l'altro pannello di un'unica composizione, il Trittico. Contro le indicazioni del teatro greco (prima la tragedia, poi il dramma satiresco), in favore di un crescendo di pathos e di attrattiva (inutile nasconderlo, Puccini stravince sul collega), si comincia con Il segreto di Susanna.

Gianna Fratta sul podio fa quadrare tutti i conti, ma la posizione dell'orchestra al livello della platea non aiuta. Il suono risulta prepotente, appiattito nelle dinamiche, con un organico novecentesco così vicino al pubblico. Per di più, un'opera come quella di Wolf Ferrari gioca sull'effetto parodistico del contrasto fra le allusioni da Mozart a Verdi (almeno), le tinte forti e patetiche della gelosia di Gil e l'evanescenza del soggetto, con una coppia ricca e innamorata turbata solo dall'innocente segreto di lei, tabagista clandestina (non sarebbe male se in una regia contemporanea si fumasse altro: la drammaturgia un po' demodé ne sarebbe vivacizzata). Se, però, l'orchestra queste allusioni e queste tinte le appesantisce troppo e non ammicca lieve come una nuvola di fumo, allora la commediola perde molto, nonostante le ottime prove di Vittorio Prato, Gil baldanzoso dal canto ben plasmato teatralmente, e Lavinia Bini, Susanna carnale e maliziosa quanto capace di sincero abbandono lirico. L'allestimento, roseo e garbato se non fosse per la sottolineatura erotica finale, porta la firma registica di Federica Zagatti Wolf Ferrari. Molto bene, per Il segreto di Susanna come poi per Suor Angelica, le scene di Serena Rocco, i costumi di Lorena Marin in collaborazione con il Regio di Parma, le luci di Andrea Tocchio.

Sebbene la posizione non consenta un gran gioco di finezze e colori, le cose dalla buca-non-buca vanno un po' meglio con Puccini, dalla placida atmosfera del chiostro al dolore dell'epilogo. La regia di Giorgia Guerra muove con ordine le suorine e concede qualche scatto d'orgoglio più marcato alla protagonista, che infine riprende i suoi abiti borghesi – più proletari che principeschi – e non ottiene alcun miracolo: anzi, la statua della Vergine cui si abbarbica morente crolla a terra e si infrange. Spunti interlocutori, più che interessanti sviluppi, in uno spettacolo per il resto semplice e ordinato dove spicca la protagonista. Dopo aver sostenuto la parte di Suor Angelica alla prima, Chiara Isotton ritorna a sorpresa e ci offre i momenti di maggiore interesse della serata. Il giovane soprano ha già avuto modo di farsi notare: anche come Dama della Lady il 7 dicembre non è passata inosservata, saettando nei concertati. Negli insidiosi panni della monaca pucciniana ribadisce la sua ottima organizzazione vocale, la dovizia dei mezzi e la capacità di modularli in tutta la tessitura. L'interpretazione è ben curata, fra forza e dolcezza, e certo potrà crescere ancora con l'esperienza, là dove, soprattutto nel finale, il contesto non sollecita né aiuta, vuoi per le ambizioni alternative non pienamente risolte della regia, vuoi per una certa uniformità nella concertazione. Graziella DeBattista canta bene una Zia Principessa che – chissà perché – in questa produzione si rende meno fredda e inquietante, più dedita in buona fede al bene della famiglia (tanto che il “Sorella di mia madre, voi siete inesorabile” della povera nipote finisce per sembrare perfino ingrato e aggressivo). Ben assortito il gruppo delle donne del chiostro, suore, suorine, novizie, converse e cercatrici: Tiziana Realdini, Alice Marini, Rosanna Lo Greco, Sonia Bianchetti, Jessica Zizioli, Elisa Fortunati, Manuela Schenale, Grazia Montanari, Emanuela Simonetto, Mirca Molinari, Cecilia Rizzetto.

Il pubblico presente applaude convinto e si avvia all'uscita. Attraversando piazza Bra, così bella anche di notte, è difficile guardare gli arcovoli illuminati e non domandarsi perché un po' dell'amore che si porta all'Arena non possa riflettersi anche sul Filarmonico.