L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Lunga vita alla Sposa dello zar

di Irina Sorokina

Ottima riuscita complessiva per l'opera di Rimskij-Korsakov alll'Helikon-Opera di Mosca, sebbene nel cast il punto debole sia costituito proprio dalla coppia di innamorati.

Mosca, Helikon-Opera, 22 gennaio 2022 - La grande eredità di uno dei più importanti operisti russi del secondo Ottocento Nikolaj Andreevič Rimskij-Korsakov sembra non molto richiesta nei tempi moderni. Nel “secolo d’oro” del Bol’šoj Sadko, La sposa dello zar, La leggenda della città invisibile di Kitež e della vergine Fevronia rappresentavano una fetta importante di repertorio, oggi il quadro è diverso: le opere del compositore non sono del tutto scomparse, ma sono messe al pari con gli altri universi. Oggi al Bol’šoj si ascolta un po’ di tutto e un po’ di più, da Häendel a Šostakovič e Vainberg e nessuna produzione è in grado di scuotere gli animi, mentre nei tempi dell’Unione Sovietica ascoltare Vladimir Atlantov in Sadko o Elena Obrazcova nella Sposa dello zar fu un privilegio. Alcuni anni fa aveva fatto parlare di sé Sadko messa in scena dal celebre e discutibile regista Dmitry Černyakov, oggi sul palcoscenico nuovo del Bol’šoj a fianco di quello storico si può ascoltare La fiaba dello zar Saltan che vanta parecchie recite nei giorni di vacanze di Natale, mentre l’ultimo allestimento della Sposa dello zar risale al 2010.

La sposa dello zar è da sempre l’opera più amata di Rimskij-Korsakov, anche perché la più melodrammatica, presenta delle somiglianze con Lucia di Lammermoor donizettiana e vanta vere perle di grand’effetto per tutte le voci. Può essere considerata la più “digeribile” per il pubblico occidentale, tuttavia non la troviamo mai nei cartelloni dei teatri.

La lacuna formatasi nella capitale russa viene colmata dall’Helikon-Opera diretta dal rinomato regista Dmitry Bertman che tiene in vita la produzione che risale addirittura al 1997 sicuro di una sua straordinaria vitalità. La sposa dello zar bertmaniana può considerarsi un classico ormai perché il regista che una volta faceva tanto discutere in questo caso evita felicemente gli eccessi e gli orrori del Regie Theater.

La produzione dell’Helikon-Opera conferma il proprio valore nel tempo: venticinque anni dopo la prima La sposa dello zar si appella allo spettatore con passione e amarezza visto che il filo rosso dell’allestimento dell’opera di Rimskij-Korsakov èla  violenza che viene dal potere e avvelena tutti i personaggi, a eccezione della coppia dei giovani e innocenti innamorati. In questo mondo di violenza una persona umana non vale nulla, ma proprio nulla. Nello spettacolo del fondatore e direttore artistico del teatro dell’opera moscovita Dmitry Bertman è presente un personaggio, molto probabilmente, preso in prestito da Boris Godunov di Musorgskij, il Beato, appunto, un mendicante mezzo matto. A lui è affidato il compito di lanciare segnali continui dalla onnipresente violenza, nei comportamenti degli opricniki, “cani dello zar”, che lo menano senza pietà, di Grigorij Grjaznoj che preso dalla fosca passione è intento di distruggere la felicità della fanciulla innocente e le mette nel bicchiere una sostanza per farla innamorare di lui, di Lyubaša che sostituisce la pozione amorosa con un veleno, di Bomelij che baratta l’atto sessuale con una delle sue sostanze dannose. A capo dei violenti lo zar Ivan Terribile, che toglie la promessa sposa al giovane Ivan Lykov. Ma il regista aggiunge un dettaglio che diventa una vera rivelazione, alla fine dell’opera: dopo le ultime parole di Marfa delirante “ Приди же завтра , Ваня !” (“Vieni domani, Vanja!”) risuona il coro energico degli opricniki che glorifica il potere dello zar. Tutti sono d’accordo con questo ordine di cose, la famiglia di Marfa compresa, il potere assoluto dello zar e la violenza agghiacciante che lo accompagna.

All’Helikon-Opera si assiste a una Sposa dello zar “da camera”, austera nelle scenografie di Igor Nezhny e Tatiana Tulubieva, dalle tinte scure e dallesemplici linee geometriche che accennano agli ambienti chiusi nelle case nobili, con poca mobilia. In un contrasto vivace con le scene sono i bellissimi costumi, elaborati e colorati, soprattutto i copricapi delle fanciulle ricchi di perle fanno un grand’effetto, come fa un grand’effetto l’ultimo abito di Marfa, prossima alla morte: lungo, color rosso sgargiante, color sangue versato più volte, e dalle maniche lunghissime che come le camicie di forza rendono impossibile l’uso delle mani.

Nel caso della produzione dell’Helikon abbiamo un cast molto convincente anche se vocalmente disomogeneo. Mikhail Nikanorov è al debutto nel ruolo di Grayznoj, uno dei più significativi per baritono nel repertorio russo. Il fatto ci appare strano, visto che da sempre il cantante ha tutte le carte in regola per intrepretare il ruolo del “cane dello zar” divorato dalla passione amorosa. Infatti, soddisfa le più alte aspettative, scolpisce il personaggio dalle molte sfaccettature con disinvoltura, mescola sapientemente l’inclinazione alla violenza con l’amore puro e il pentimento. Si disimpegna senza sforzo nella scrittura di Rimskij-Korsakov grazie alla voce virile e potente ma ben educata e a tratti pastosa, anche se la linea a tratti è discontinua.

Larisa Kostiyuk, da sempre primadonna dell’Helikon, è indimenticabile nel ruolo dell’amante di Grayznoj. In possesso di voce ammaliante, profonda, vellutata, canta con sicurezza, tutto sul fiato e senza sforzo, il suo cantabile è da manuale e l’espressività al limite dell’immaginabile. Offre un’interpretazione fantastica del personaggio che nella sua umanità e contraddittorietà coinvolge al massimo il pubblico.

Sembra che la giovane Elizaveta Kulagina sia stata scelta per il ruolo di Marfa grazie alla sua dolce bellezza, e non grazie alle qualità vocali. La voce senza un colore ben definito tiene nel centro ma tende a diventare biancastra nel registro acuto, e la tecnica risulta insufficiente. La bellissima cantante, capace di commuovere il pubblico, delude soprattutto nella celebre aria finale “Иван Сергеич , х o чешь в сад пойдем ” (“Ivan Sergheič , vuoi che andiamo in giardino”). Un vero peccato, tale abisso tra il physique du role perfetto e la resa vocale debole.

Simile al soprano, il tenore Vadim Letunov è convincente nel ruolo del giovane “occidentalizzato” innamorato di Marfa Ivan Lykov, ma le sue qualità vocali sono discutibili. La voce risulta disomogenea e a tratti belante e il registro acuto pressappoco inesistente.

Ottimi due bassi, Dmitry Skorikov e Grigori Soloviov, rispettivamente nei ruoli di Vasilij Sobakin e Maljuta Skuratov, e profondo e convincente Mikhail Seryšev nel ruolo del perfido medico dello zar Bomelij.

Magnifica l’orchestra dell’Helikon-Opera affidata al rinomato direttore Eugene Brazhnik, estremamente sensibile e ricca di colori. Il coro è preparato da Eugene Ilin.

Successo importante e lunghi applausi a tutto il cast. Lunga vita alla Sposa dello zar all’Helikon-Opera che nel modo intelligente e discreto collega il lontano passato della Russia col suo presente.


 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.