Cartoline dall’Egitto

di Alberto Ponti

Il punto di forza della ripresa torinese del capolavoro verdiano è costituito da un terzetto vocale ben assortito dove emergono le due protagoniste femminili. Interlocutoria la prova sul podio di Michele Gamba, convincente soprattutto nel terzo e quarto atto.

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TORINO, 7 marzo 2023 - Dopo il Barbiere inaugurale, la stagione del Teatro Regio si mantiene nel segno del grande repertorio proponendo un titolo impegnativo come Aida di Giuseppe Verdi. Per la scenografia vale la considerazione ‘squadra che vince non si cambia’ e infatti l’allestimento è il classico kolossal ‘hollywoodiano’ ideato da William Friedkin nel 2005 e proposto in seguito nel 2015, ripreso per la presente occasione da Riccardo Fracchia. Non è una novità per Torino, la regia è molto tradizionale, al pari degli impeccabili costumi di Carlo Diappi, con risultati di notevole suggestione. C’è poco spazio all’immaginazione: è un’Aida da cartolina, con le pareti ricoperte di geroglifici, le statue incombenti e le palme sventolanti ma l’effetto è grandioso, si respira letteralmente lo spazio sia nelle scene collettive sia in quelle intime. L’abilità di Friedkin risiede nel giocare con l’immaginario collettivo, rispettando le intenzioni di librettista e compositore ma seminando qua e là elementi di indubbia originalità come la prima scena del secondo atto con la stanza dell’appartamento di Amneris che può richiamare alla mente una specie di acquario senz’acqua dove in luogo dei pesci si agitano le ancelle della figlia del re. Giocano a favore del successo finale le curate luci di Andrea Anfossi e le coreografie di Anna Maria Bruzzese in un lavoro che è, almeno in parte, debitore al modello grandoperistico e che prevede ampi inserti di parti ballate nei primi due atti.

Qui si tocca la questione principale. Da un punto di vista musicale il primo e il secondo atto costituiscono un blocco abbastanza omogeneo dove prevale l’elemento spettacolare mentre gli ultimi due atti portano invece a completo sviluppo i drammi personali dei protagonisti. Ridimensionate le masse corali, che sopravvivono per i brevi inserti dell’inno ad Osiride e del giudizio dei sacerdoti nei confronti del traditore Radamès, Verdi inanella quattro formidabili duetti che si pongono ai vertici assoluti della sua arte, tanto da fargli credere per lunghi anni, prima della tardiva folgorazione per lo Shakespeare di Otello e Falstaff, di avere concluso la parabola di autore operistico proprio con Aida. Michele Gamba, maestro milanese già salito sul podio del Regio con un Elisir d’amore nel 2018, si cimenta questa volta con una partitura di enorme impegno. La sua preparazione è evidente, Gamba è depositario di un mestiere nel senso più nobile del termine appreso come assistente due nomi di spessore quali Antonio Pappano e Daniel Barenboim e lo si nota nella capacità di non farsi mai scappare i cantanti e di non coprirli con l’orchestra, senza per questo rinunciare a balzare in primo piano nei rinforzi strumentali. La sua direzione, al di là delle intenzioni, si rivela tuttavia diseguale: abbastanza prevedibile e talvolta un po’ ingessata nella prima parte della rappresentazione, più imponente e monumentale, decisamente migliore dopo il giro di boa del ‘Gloria all’Egitto’ del gran finale secondo. Ecco allora sciogliersi la mano, sparire una certa uniformità dei piani sonori, farsi curato il fraseggio, venire alla luce preziose filigrane orchestrali, come la memorabile trama del clarinetto basso nel duetto tra Amneris e Radamès ‘Già i sacerdoti adunansi’, o i leggerissimi staccati di viole e violoncelli ancora nella parte finale del giudizio. Ne guadagna così la teatralità e i professori del Regio possono mettere in risalto in scioltezza le caratteristiche migliori di un suono compatto, sanguigno, talvolta sferzante ai limiti della ruvidezza ma sempre di densa consistenza drammatica.

Di buon livello il secondo cast che, alternandosi al primo con qualche modifica rispetto al programma originario, ha saputo reggere l’impatto di un tour de force di undici recite in meno di due settimane.

Erika Grimaldi è un’Aida di ottima valenza scenica, calata in profondità nel ruolo della principessa etiope schiava in terra d’Egitto. Il soprano piemontese rivela un timbro duttile e sfaccettato, a suo agio nelle aperture liriche a cominciare dall’intenso esordio (‘Ritorna vincitor!...’) ma capace allo stesso modo di sfoggiare nuances vocali più pastose e scure in sintonia con la complessa psicologia del personaggio (‘Rivedrai le foreste imbalsamate’ duetto con il padre Amonasro) mantenendosi in mirabile equilibrio sul filo di un’innata musicalità fino alla scena conclusiva venata di un’autentica e trascendente emozione. La rivale Amneris, interpretata dal mezzosoprano Silvia Beltrami, ha un timbro di indubbio peso drammatico e domina con sicurezza una parte di altissima difficoltà, dando il meglio di sé quando la bacchetta di Gamba trova una dimensione e una varietà coloristica adatta a sostenerne la portata, raggiungendo il vertice all’inizio del quarto atto nella scena con Radamès, con punte di graffiante bellezza, e con Ramfis, quando il ripiegamento sulla sofferenza interiore non esclude un’emissione sempre a fuoco in grado di raggiungere sottigliezze raffinate nel canto. Nondimeno, il contrasto tra le due protagoniste femminili nel duetto ‘Amore! Amore! Gaudio… Tormento…’ in chiusura della prima scena del secondo atto si fa apprezzare per coesione e intesa musicale e teatrale a tutto tondo.

Più compassato, Radamès è impersonato da Gaston Rivero, chiamato a sostituire nella recita seguita il previsto Stefano La Colla. Non sarebbe semplice per nessuno entrare in palcoscenico ed essere chiamati a rompere subito il ghiaccio con una ‘Celeste Aida’. Rivero appare forse un poco controllato, soprattutto da un punto di vista emotivo, ma riesce a dosare con sapienza i mezzi e le forze per giungere in porto al termine senza grandi danni. Voce non potentissima, il tenore di origine uruguaiana appare a suo agio nei due impegnativi duetti cui è chiamato nel quarto atto. Se in coppia con Amneris emergono talora grinzosità nel registro medio-acuto, il finale nella tomba con Aida (‘La fatal pietra sovra me si chiuse’) segna il suo pieno riscatto con un’interpretazione vibrante, sentita e vocalmente a tutto tondo.

Il baritono Gevorg Hakobyan nel ruolo di re Amonasro, nell’ambito di una prestazione corretta e senza sbavature, indovina da un punto di vista timbrico l’opaca maestosità del suo personaggio ma pare a tratti mancare del giusto pathos, messo in ombra nei concertati dagli altri cantanti con cui si trova a interagire.

Buoni risultati raggiungono infine il basso Evgeny Stavinsky nella parte di Ramfis, convincente sia nei pochi tratti solistici a lui riservati da Verdi sia nei pezzi d’insieme sostenendo con intelligenza e senza risparmio di mezzi la parte più grave della linea melodica, l’altro basso Marko Mimica (il re), il tenore Thomas Cilluffo (un messaggero) e il soprano Irina Bogdanova (una sacerdotessa), gli ultimi due artisti del Regio Ensemble.

Un plauso speciale al Coro del teatro diretto da Andrea Secchi, che si guadagna al termine del secondo atto lunghi applausi a scena aperta quasi fosse il finale dell’opera, alle ballerine e ai ballerini che hanno conferito, grazie anche alle suggestioni esotiche dei costumi, quel surplus di grandiosità che non può mancare in Aida.

Calde ovazioni finali per tutti, sala piena quasi per intero, con una prevalenza di pubblico non giovane dato che è pur sempre una matinée, e purtroppo rumorosissima. Si finisce per perdere il conto di commenti a voce alta, interminabili sequenze di colpi di tosse, caramelle scorticate e squilli di cellulare. Consideriamolo folclore.