Non divi, ma persone

di Irina Sorokina

Dopo quarantacinque anni Werther di Massenet torna al Filarmonico di Verona nella bella produzione nata durante la pandemia con la firma registica di Stefano Vizioli. Ottima anche la concertazione di Francesco Pasqualetti, così come la compagnia di canto, con Dmitry Korchak e Chiara Tirotta nelle parti principali.

VERONA, 29 marzo 2023 - Uno dei due titoli più popolari di Jules Massenet, uno dei cavalli di battaglia dei tenori più carismatici, Werther, appunto, sembra aver perso parecchio smalto negli ultimi anni, soprattutto se si tratta del Teatro Filarmonico di Verona. Nella città veneta sono cresciute due generazioni di melomani che non hanno mai avuto possibilità di assistere al capolavoro di Massenet in teatro negli ultimi quarantacinque anni.

L’opera di Massenet, d'indiscussa qualità, ha tutte le carte in regola di coinvolgere il pubblico (nel caso veronese non troppo numeroso) grazie alla storia commuovente e alle qualità musicali; a tutti i melomani sono ben note le pagine quali “Pourquoi me reveiller” di Werther o la scena delle lettere di Charlotte.

A Verona arriva lo spettacolo creato per i Teatri di OperaLombardia nel primo autunno della pandemia, firmato da Stefano Vizioli e in cui la mano delicata di questo rispettabile uomo di teatro si riconosce in pieno. Niente di nuovo, avrebbe detto qualcuno: la storia del protagonista viene raccontata in flashback, molti anni dopo l’accaduto, quando, ormai vecchia e costretta a stare in carrozzina, Charlotte ripercorre i fatti nella sua mente. Una simile delicatezza caratterizza l’impianto scenografico di Emanuele Sinisi; anzi, si potrebbe parlare di un certo minimalismo, della prevalenza del colore bianco, poche cose in scena. Tre pareti bianche, la centrale è un grande foglio accartocciato che accoglie qualche riga delle famose lettere e serve da fondale per le proiezioni di Imaginarium Creative studio. Ancora loro, verrebbe da esclamare, con un mix di fastidio e rassegnazione: le video proiezioni sono onnipresenti ormai e potrebbero annoiare o irritare, ma nel caso del Werther “vagante” passato già per Brescia, Pisa, Bari e ora approdato a Verona sono molto suggestive e creano un’atmosfera sognante e spettrale. Altrettanto suggestive sono le luci di Vincenzo Raponi e meritano un elogio i costumi di Anna Maria Heinreich in linea con l’epoca in cui è ambientata l’opera, dai colori naturali.

Nel ruolo del titolo, la presenza del tenore Dmitry Korchak inevitabilmente fa pensare alla grande tradizione interpretativa del ruolo in Russia: si ricorda non soltanto Leonid Vital'evič Sobinov, uno dei miti del Bol’šoj a cavallo dell’Ottocento e del Novecento, ma soprattutto i due tenori beniamini del pubblico moscovita nella prima metà del Novecento, Sergej Jakovlevič Lemešev e Ivan Semenovič Kozlovskij i quali, pur non aver mai interpretato il celebre ruolo in teatro, incisero il capolavoro di Massenet in LP in lingua russa, come voleva l’usanza dell’epoca: Kozlovskij l’opera intera nel 1949 e Lemešev alcuni brani nel 1960. Werther tornò al Bol’šoj nel 1986, senza dubbio per celebrare il talento di Elena Obraztsova: non solo interpretò la parte di Charlotte, ma firmò anche la regia.

Oggi non abbiamo tanti grandi divi, ma piuttosto i solidi professionisti: lo conferma anche il Werther veronese. Ma, forse, il capolavoro di Massenet non necessita i grandi divi, quanto piuttosto di cantanti intelligenti e sensibili, e così avviene. Dmitry Korchak dona al suo personaggio un autentico spirito nobile, nell’aspetto, nell’atteggiamento, nel canto, è perfettamente capace di descrivere l’animo bellissimo del giovane Werther: lo fa tramite un legato carezzevole, un declamato ricercato, un fraseggio ben studiato e alla fine la sua interpretazione, senza esagerazione, può essere definita grandiosa; l’unico neo sono gli acuti leggermente sforzati. Per questo impegno così serio ed autentico è ripagato dall’ammirazione sincera del pubblico veronese. Il suo “Puorquoi me reveiller” è cantato con tale abbandono da poter scuotere gli animi.

Chiara Tirotta nella sua unica recita nel teatro veronese – le altre sono affidate al mezzosoprano russo Vasilisa Berzhanskaya – non ha nulla da invidiare alle colleghe più esperte e forse in possesso delle voci più “importanti”. Traccia con sicurezza il percorso del suo personaggio, dalla dolcissima sorella maggiore nei panni della madre nonostante la giovane età, una ragazza dai forti principi intenta di tener fede alla promessa data sempre alla madre e alla fine una vera donna dal carattere forte che comprende anche la parte più tenera e quella più libera, se vogliamo. Quindi, il giovane mezzosoprano si presenta come un’attrice consumata, in armonia tra la spensieratezza adolescenziale e la ricchezza psicologica della donna cresciuta ormai; ci appare simile il suo percorso vocale. Dalle sonorità dolci a quelle intense e drammatiche: il personaggio di Charlotte risulta vivo, credibile e pieno di vibrazioni, se così si può dire.

Accanto alla coppia dei protagonisti non si perdono Sophie di Veronica Granatiero e Albert di Gezim Myshketa. Il giovane soprano disegna un personaggio molto credibile, la sua Sophie è piena di vita ed esprime la gioia attraverso la voce pulita e dotata di buono squillo, dimostrando anche una solida tecnica. Il baritono albanese da sempre è conosciuto per la buona qualità della voce, solida e virile, ben timbrata e sufficiente morbida, perfetta per Albert, un uomo tristemente ordinario e a tratti minaccioso.

Completano il quadro vocale i comprimari, il dignitoso Yuongjun Park, le Bailli, e Gabriele Sagona, Johann, e Matteo Mezzaro, Schmidt, due simpatici e esilaranti bevitori; a loro il pubblico riserva calorosi applausi. Carini e naturali i giovani Pierre Todorovitch e Maria Giuditta Guglielmi, rispettivamente Brühlmann e Käthchen.

Il grande, anzi, grandissimo contributo al successo di Werther veronese lo si deve soprattutto a Francesco Pasqualetti sul podio che guida l’orchestra della Fondazione con autentica ispirazione. La raffinata partitura di Massenet sembra di non avere i segreti per lui e riesce a tirar fuori il meglio dai professori dell’orchestra areniana grazie al gesto eloquente, una gioia per chi occhi. Nelle sue mani gli archi danno il loro meglio, sfoggiano “voce” piena e mielosa, e i fiati non sono da meno grazie al suono preciso e compatto.

Molto apprezzabile la partecipazione del Coro di Voci bianchi A.LI.VE. sotto la direzione di Paolo Facincani e fanno tenerezza e divertono tantissimo i ragazzini nei panni dei sei bambini del Bailli.

Alla fine, un grande successo e le espressioni di entusiasmo da parte del pubblico: il Werther lombardo nella città veneta ha decisamente vinto.