La fille sul comò

di Antonino Trotta

Al Teatro Regio di Torino La fille du regimént si fa ammirare per la bella regia targata Barbe & Doucet e la raffinata concertazione di Evelino Pidò: nella seconda compagnia di canto brilla la Marie di Caterina Sala.

Torino, 14 maggio 2023 – Sul palcoscenico, in quest’occasione, non si sono né attori né cantanti, ma ricordi di una storia d’amore che, sulle tavole sacre trasformatesi nell’alzata di un comò, si fanno largo tra confezioni di compresse, integratori e ciapa-puer. È un filmato in bianco e nero, proiettato durante l’ouverture, a contestualizzarci: ospite di una casa di riposo, Marie attende malinconica alla finestra l’arrivo dei nipoti; una volta giunti, mentre figlio e nuora – o figlia e genero – sbrigano faccende e parlano coi medici – che ricorreranno, nel finale, quando i ricordi cominceranno a sfumare per confondersi con la realtà, come personaggi nella narrazione –, Marie coglie l’occasione per raccontare e rivivere coi bambini il suo passato da vivandiera durante il primo conflitto mondiale, dando così il la all’inizio dello spettacolo in carne e ossa. Spettacolo, bellissimo, che al di là del romantico incipit s’articola tutto secondo le peculiarità del duo Barbe & Doucet: tradizionale, tutto sommato, sì, ma al tempo stesso fiabesco, sognante, fresco, equilibrato, rispettoso ora di quell’allegria in punta di fioretto, ora di quella timida malinconia che innerva sempre il genere in Donizetti. Qui a Torino, poi, s’è coinvolto pure il celebre trasformista Arturo Brachetti nei panni della Duchessa di Crakentorp: canta una celebre canzone piemontese del primo dopoguerra – «Ciribiribin» –, si cimenta in alcuni numeri di trasformismo, insomma fa uno spettacolo nello spettacolo che già da solo vale il prezzo del biglietto.

Nell’economia totale della produzione anche Evelino Pidò, alla guida del complessi del Regio in ottima forma, ha un peso tutt’altro che indifferente. È nella buca, infatti, che l’opera si fa ammirare al massimo della sue potenzialità: elegante nel fraseggio, briosa nelle agogiche e nei colori, traslucida e ricca di dettagli strumentali, attentissima tanto all’esigenze del palcoscenico quanto a quelle del testo, la concertazione di Pidò ride e sospira, diverte e commuove, dà insomma sfogo a tutti quei tratti che poi caratterizzano, qui, la poetica donizettiana. Una menzione speciale è d’obbligo per il Coro del Teatro Regio di Torino, istruito dal maestro Andrea Secchi, capace d’incarnare, con ammirevole morbidezza e omogeneità vocale, la paternità di Marie che, alla faccia del popolo della famiglia, è forse il personaggio più toccante dell’intera comitiva.

Nella seconda compagnia di canto gli applausi sono tutti rivolti all’eccezionale Caterina Sala: svettante nel canto d’agilità che non è scelleratamente funambolico ma ragionatamente eccitante, coinvolgente in quello patetico – bellissima per l’intensità del fraseggio «Il faut partir!» –, forte anche di un timbro cristallino, di una voce timbrata e di uno strumento ben dominato in una tessitura che dal grave passa all’acuto e poi al sopracuto, la Marie della giovane Sala regala alla seconda compagnia di canto autentiche ragioni d’interesse. Pablo Martínez, Tonio, non suscita le stesse emozioni, pur cantando la parte con nobiltà d’intenti e disimpegnandosi con onore nell’impervia e celebre aria dei nove do – il numero si riferisce a quelli scritti, non a quelli presi –. Simone Alberghini, chiamato a sostituire l’indisposto Roberto de Candia, è un Sulpice di gran classe; Manuela Cluster una la marchesa di Berkenfield scenicamente vivace e vocalmente ineccepibile. Completano correttamente il cast Guillaume Andrieux (Hortensius), Riccardo Mattiotto (caporale), Federico Vazzola (notaio) e Andrea Antognetti (paesano);

Calorosissima l’accoglienza di un pubblico non numerosissimo per uno spettacolo, qui al Regio, che avrebbe comunque meritato un tutto esaurito.