Tramontan le illusioni

di Roberta Pedrotti

La rondine di Puccini fa il suo debutto a Jesi, dove non era mai stata rappresentata, con una produzione che merita un pieno successo grazie ai protagonisti Claudia Pavone, Maria Laura Iacobellis, Matteo Falcier e Vassily Solodkyy, alla direzione di Valerio Galli e alla regia di Paul-Émile Fourny.

JESI, 15 e 17 dicembre 2023 - Si può capire se, fra le opere della maturità pucciniana, La rondine figuri un po' come una sorella minore trascurata. Pensata come operetta per Vienna cambia natura e diventa opera per Montecarlo, segnando anche l'unico tradimento editoriale di Puccini nei confronti di Ricordi in favore di Sonzogno. È diversa dalle altre, il suo linguaggio è composito, ricco di citazioni, non rifiuta il parlato; il soggetto non è per nulla melodrammatico, una Traviata sana che non muore. E il finale non c'è: anzi, ce ne sono tre a testimoniare l'impossibilità di sciogliere la vicenda per un tradizionale palcoscenico d'opera (in questo caso ascoltiamo il secondo, il più noto). Sì, si può capire perché La rondine sia stata la più sfortunata fra le sue sorelle, almeno fra quelle nate a partire da Manon Lescaut. Però non è affatto giusto e non lo è proprio per molti dei motivi già elencati. Magda non si strugge fra croci e delizie, non supplica di essere amata quanto lei ama, non illanguidisce nella memoria dei bei giorni ridenti del passato. Magda, mantenuta splendida e lucente senza fratelli ingombranti e con un protettore, viceversa, generoso e signorile, culla il sogno e il ricordo di un colpo di fulmine di una sera, di un amore sbocciato e non fiorito, ripete una notte di follia in incognito nello stesso locale e scocca la scintilla con un giovanotto. Fugge con lui, si gode l'idillio, ma è l'innamoramento che cercava, non l'amore di una vita: quando lui, bravo ragazzo di provincia, pensa di metter su famiglia e i genitori benedicono la “giovine sì bella e pura”, lei sa non solo di non esser quella che i suoceri si aspettano, ma anche di non volere quella vita. La rondine è un'opera di sogni e romanticismo e pure realistica, perfino cinica e sarcastica, non crudele, senz'altro amara o, meglio, agrodolce. Lo è di pari passo la musica, con l'espressione della vena melodica pucciniana in temi riconoscibili e accattivanti inseriti in un tessuto complesso e sofisticato. Citazioni, allusioni, registri espressivi non sono parte di una sublimazione teatrale, ma realistico quadro d'ambiente: Prunier parla della moda per le femmine fatali e quando nomina Salomé spunta nitidissimo e serpentino Strauss; gli orientalismi utilizzati in Butterfly e Turandot qui si sposano con i salotti sofisticati affascinati dall'esotico che di quelle stesse vicende cinesi e giapponesi erano avidi in teatro; per non parlare poi di tutti i moderni tempi di danza sparsi a piene mani.

Va da sé che, se della Rondine ci si può innamorare sempre più approfondendone la conoscenza, portarla in scena non sia affatto facile e il cimento spesso eluso diventi un passaggio invece pressoché obbligato nel centenario dalla morte del compositore. E ancora una volta è la provincia a farci dormire sonno tranquilli nell'attesa e a tenerci ben svegli in sala: la coproduzione fra Pisa, Jesi e Metz non delude e porta a un felicissimo debutto assoluto dell'opera nella città di Pergolesi.

La presenza di Valerio Galli, che di Puccini è specialista ed è uno dei pochi ad avere anche già esperienza con questo titolo, è una garanzia sulla carta e alla prova dei fatti: la melodia ben delineata senza compiacimento superfluo, bensì come elemento costitutivo della drammaturgia, il tessuto tematico e metrico lascia intravedere la sottigliezza del gioco di allusioni e sottintesi senza perdere compattezza. La brillantezza e l'espansione del suono non si fanno mai soverchianti, ma contribuiscono semmai all'affermazione di quello che è un inno del breve sogno romantico, dell'età di inganni e di utopie la cui fine non esige vite in tributo: il brindisi “Bevo al tuo fresco sorriso”.

Anche la regia di Paul-Émile Fourny contribuisce al buon esito della produzione: la simbologia del teatro non sarà delle più originali, ma si confà quasi naturalmente a quest'opera che è anche un gioco di società, ipocrisie, maschere, sogni e leggerezze. La scenografia di Benito Lenori con le luci di Patrick Méeüs serve benissimo all'idea e alle caratteristiche di palcoscenici piuttosto piccoli, così da consentire una gestione ragionevole anche del viavai al Bal Bullier. I costumi di Giovanna Fiorentini caratterizzano bene i solisti, la stravaganza di Yvette, Bianca e Suzy, l'eleganza di Magda, mentre il coro del secondo atto si presenta un po' più generico (è vero che si tratta anche di bohèmien e venditrici di fiori, ma quando Ruggero descrive la differenza fra le fanciulle del paese e le sofisticate parigine non risulta credibilissimo, per quanto sia cosa veniale in una coproduzione itinerante che deve fare anche di necessità virtù).

Il passaggio da una regione all'altra – e per un'opera che di repertorio proprio non è – comporta anche il cambio dell'orchestra dopo le recite pisane e meritano applausi sia la Filarmonica Marchigiana sia il coro Arché preparato da Marco Bargagna. Così, si apprezza il cast, che allinea un quartetto protagonista di tutto rispetto.

Claudia Pavone viene a capo delle insidie di Magda – e sono tante – senza mai perdere di freschezza e franchezza; fra l'eleganza sofisticata, la tenerezza, la passione e il disincanto gestisce disinvolta filati, piani e pianissimi così come i passi più intensamente lirici, con voce omogenea, metallo penetrante nell'acuto e un canto di conversazione sempre chiaro e ben articolato. La presenza scenica perfetta per la parte completa il quadro di un felicissimo debutto. La contrapposizione con la Lisette di Maria Laura Iacobellis al primo impatto lascia quasi disorientati perché la voce del soprano che avevamo già apprezzato, per esempio, come allieva dell'Accademia Rossiniana di Pesaro sta acquistando uno spessore e un colore più lirici. Insomma, non ci troviamo di fronte a una cameriera soubrette (come non dovrebbe essere soubrette Musetta, e il paragone non è scelto a caso), ma a una giovane donna volitiva, contraltare di Magda e in perfetto equilibrio con il Prunier di Vassily Solodkyy. Nemmeno questi è il tipico tenore lirico leggero che si è abituati ad ascoltare nei panni del poeta esteta, ma una voce come questa, più piena, scura, sonora anche nel grave, rende giustizia al suo ruolo nella vicenda, deus ex machina e osservatore, diviso fra la sua umanità e la maschera del vate, amico sincero e sarcastico arbiter elegantiarum. Anche in questo caso la compagnia è ben assortita, perché Ruggero ha, invece, il colore più dolce e sentimentale di Matteo Falcier, che regge bene la prima nonostante un'indisposizione e si rinfranca appieno alla seconda. Non mancano, per l'innamorato di Magda, momenti in cui è sollecitata una maggior intensità drammatica, in cui l'accento si deve accendere e Falcier è sempre pronto, con voce salda e giusta intenzione, appassionata e ingenua. Nell'equilibrio delle quattro voci principali, tutte sicure e attente alla parola, sono proprio i colori e il modo di porgere a caratterizzare i personaggi, tutti ben delineati, come del resto è anche il Rambaldo di Francesco Verna, qui truccato in modo da somigliare a Puccini.

Il cast è completato da Giorgio Marcello, Périchaud, Mentore Siesto, Gobin, Tommaso Corvaja, Crébillon, Benedetta Corti, Yvette, Sevilay Bayoz, Bianca,Michela Mazzanti, Suzy.

Il pubblico è forse più numeroso e caloroso alla replica pomeridiana, ma già alla prima non mancano le richieste di bis per il brindisi del secondo atto e i commenti stupiti e soddisfatti per questo debutto pucciniano a Jesi.