Buon anno!

 di Stefano Ceccarelli

L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia apre il 2023 con un concerto che spazia nel più puro romanticismo tedesco: si inizia con l’ouverture di Der Freischütz di Carl Maria von Weber, si prosegue con il Concerto per pianoforte in la minore op. 54 di Robert Schumann e si chiude, in bellezza, con la Sinfonia n. 7 in la maggiore op. 92 di Ludwig van Beethoven. A dirigere l’orchestra dell’Accademia è Jakub Hrůša, al pianoforte (per Schumann) siede Beatrice Rana.

ROMA, 5 gennaio 2023 – Il nuovo anno viene degnamente inaugurato da un ricco concerto all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che propone un trittico tedesco, puramente romantico. Sul podio sta Jakub Hrůša, che conosce bene l’orchestra in quanto direttore ospite principale. La serata si apre con la celebre ouverture dal Freischütz di Weber, opera che è la quintessenza del primo romanticismo musicale tedesco. Fin dalle prime battute si comprende l’idea agogica di Hrůša: dilatare fino all’estremo la prima parte dell’ouverture, l’introduzione atmosferica e la più lirica parte centrale, per far risaltare, con vigore, la seconda parte, conclusiva, più trionfale e festosa. L’estrema dilatazione agogica iniziale, a mio avviso, pur donando arcate sonore di notevole bellezza (in questo l’orchestra dell’Accademia è maestra), opacizza un po’ la resa della sezione centrale; si tratta, in ogni caso, di una soluzione già esperita, ad esempio, da Furtwängler, a cui preferisco la più spigliata lettura di un Kleiber o di un Karajan, che donano brillantezza alla sezione centrale. L’orchestra suona magnificamente (come in tutta la serata): basti il tema, lirico e sognante, dei quattro corni – quello, forse, per cui l’ouverture è diventata così famosa.

Si prosegue con il Concerto per pianoforte di Schumann. Ad eseguire la parte pianistica è Beatrice Rana, artista ‘in residence’ di questa stagione, che completa, peraltro, un dittico familiare, giacché ha di recente eseguito, qui in Accademia, il Concerto per pianoforte di Clara Wieck, la signora Schumann (https://www.apemusicale.it/joomla/it/recensioni/68-concerti2022/13744-roma-concerto-pappano-rana-03-11-2022). Più passano gli anni, più la Rana acquisisce scioltezza, eleganza, raffinatezza esecutiva. Tutto ciò viene autenticamente profuso nel Concerto di Schumann, che Rana legge con intenso lirismo, cavando le frasi con timbrica studiatissima, con notevole senso del colore. Esempio ne è già il tema cardine dell’Allegro affettuoso, giocato tutto sul tocco e su una netta preponderanza, a tratti, della sezione con la mano sinistra, ad acuire il chiaroscuro. Il dialogo con l’orchestra è assai riuscito; peraltro, la direzione agogicamente scandita di Hrůša dona tempo alla Rana di respirare lungamente con le frasi. Se, ancora, Hrůša toglie forse un po’ di pathos alla partitura, ne guadagna l’espressività pianistica dell’interprete. Le sezioni centrali dello sviluppo, eseguite dalla Rana a fior di tasti, con accompagnamento timbricamente millimetrico dell’orchestra, sono i passaggi più emozionanti. L’interpretazione di Hrůša ed il lirismo della Rana si incontrano bene nell’Andantino grazioso, un’oasi di pace sonora. Nel finale l’agogica voluta da Hrůša si fa più rutilante, donando brillantezza e fuoco; la Rana, al contempo, dà vita al virtuosismo di frasi pianistiche che sembrano roteare su loro stesse. Gli interpreti tutti ricevono sonori applausi. Nel congedarsi, la Rana regala l’undicesimo dei Preludi op. 11 di Scrjabin.

Nel secondo tempo Hrůša dirige la Settima di Beethoven. Sinfonia amatissima e seducente quant’altre mai, la Settima è un capolavoro assoluto di freschezza coreutica e ritmica. Forse, nel I movimento (Vivace) Hrůša è troppo preoccupato, ancora, a geometrizzare l’agogica; si perde, così, un po’ della freschezza genuina del tema dei legni. Comunque, nello sviluppo il direttore muove bene la massa orchestrale. Dal II movimento in poi, però, Hrůša comincia a sciogliere la bacchetta. Lo si coglie in diversi momenti dell’Allegretto, che il direttore non legge come un surrogato di un movimento largo, ma donandogli il giusto vigore ritmico: il crescendo finale, anzi, è fra i più belli che mi sia capitato di ascoltare dal vivo. La performance cresce in intensità nel successivo Presto, dove l’orchestra risulta vivacissima, con effetti assai godibili; la struttura ripetitiva, poi, rende il pezzo ancor più accattivante. L’acme della serata, comunque, la si raggiunge proprio nell’Allegro con brio finale: direttore e orchestra sono talmente trasportati dall’irresistibile purezza ritmica del pezzo che Hrůša, verso la cadenza finale, perde una pagina della partitura e, nella foga di agitarla, persino la sua bacchetta. Il pubblico ripaga con calorosi applausi.