Gioco di squadra
di Luigi Raso
Al Teatro Sannazaro, per la stagione dell'associazione Alessandro Scarlatti, il Quartetto Eos propone con Davide Alogna, violino, ed Enrico Pace, pianoforte, un raffinato accostamento fra Haydn e Chausson.
NAPOLI, 26 gennaio 2023 - Passare dal Quartetto per archi n. 32 in do maggiore, op. 20 n. 2, Sonnenquartette (Quartetto del sole) di Franz Joseph Haydn al Concerto per violino, pianoforte e quartetto d’archi op. 21 di Ernest Chausson è come compiere un viaggio tra due estremi, dal rigore e compostezza dell'uno all’estro rapsodico e libero nella forma dell'altro. Sono ben 119 gli anni che dividono la composizione del Quartetto di Haydn (1772) dal Concerto (1891) di Chausson. Nel mezzo, un viaggio tra due mondi - musicali e non solo - quasi agli antipodi.
Di queste differenze stilistiche è eccellente interprete il Quartetto Eos, composto da quattro giovani e motivati musicisti (Elia Chiesa e Giacomo Del Papa, violini; Alessandro Acqui, viola; Silvia Ancarani, violoncello), che della raffinata composizione di Haydn dà una lettura pulita, improntata a compostezza esecutiva e formale.
È pervaso da grazia elegante il ductus musicale del Moderato del primo movimento; meditabondo, nella scelta agogica e nel colore strumentale, l’Adagio (in do minore) che apre il Capriccio, il secondo movimento del quartetto.
Una lettura, come si diceva, cristallina alla quale sembra far difetto un pizzico di coraggio nell’osare a differenziare - adoperando fraseggi di diversa intensità e colori strumentali meglio distinti - lo sviluppo musicale nel dipanarsi dell’intera composizione cameristica.
La correttezza esecutiva, l’ammirazione per l’armonia delle forme e per l’eleganza del discorso musicale di Haydn tende però a declinare verso un’uniformità espressiva che non sempre indaga a fondo - ad eccezione dello scavo del Capriccio - le differenze di inventiva e spirito che connotano i movimenti del quartetto.
Nel complesso, comunque, ne risulta una lettura pregevole, che la maturazione umana e artistica dei giovani interpreti non potrà che rendere più articolata, più incline ad assecondare ed esaltare quell’ironia che serpeggia nella la musica di Haydn, padre e protettore del quartetto, genere artistico tra i più raffinati dell’ingegno occidentale.
Nella seconda parte del concerto si viene catapultati nella temperie culturale parigina dell’ultima decade del XIX secolo, ancor sotto la fascinazione del cromatismo wagneriano e della lezione di César Franck, per ascoltare una composizione dall’ascolto raro ma di stupefacente bellezza e interesse, il Concerto in re maggiore per violino, pianoforte e quartetto d’archi, op. 21 (composto tra il 1889 e il 1891), e dedicato al grande violinista e compositore belga Eugène Ysaÿe.
Da Ernest Chausson la composizione è classificata quale concerto; ma quanto ad organico si presenta quale sestetto strumentale: infatti, al quartetto d’archi si aggiunge il pianoforte e, naturalmente, il violino solista. Ma è l’assoluta predominanza che la scrittura musicale assegna, in primis, al violino solista e, in secundis, al pianoforte a stabilire la gerarchia strumentale della composizione quale Concerto per violino, pianoforte e quartetto d’archi.
Ad imbracciare il violino è il giovane Davide Alogna, musicista dalla tecnica solidissima, violinista dal bel suono, dall’arcata scolpita, artefice di una lettura pulita dell’ardita scrittura violinistica (si pensi che la parte fu pensata per le smisurate potenzialità tecniche ed espressive di Eugène Ysaÿe!).
Eppure la sua lettura, mutuando una locuzione dal gergo calcistico, “non entra immediatamente in partita”: nel meraviglioso, sinuoso Décidé del primo movimento l’interprete appare poco incline ad abbandonarsi alla voluttuosa sensualità dei temi di Chausson, quasi timoroso di scottarsi con materiale melodico incandescente e palpitante.
Davide Alogna è, poi, maggiormente in sintonia con le intenzioni espressive di Chausson nel successivo Sicilienne: Pas vite del secondo movimento.
Ma, rimanendo alla metafora calcistica, il goal Davide Algona lo segna, complice gli assist del meraviglioso pianoforte di Enrico Pace (del quale doverosamente scriveremo) nell’enigmatico e ondeggiante Grave del terzo movimento, a giudizio di chi scrive la gemma della composizione, nonché dell’interpretazione che qui si prova a recensire.
Decisamente più partecipe rispetto al primo movimento, Alogna si mostra nel turbinoso Finale: Très animé.
A coprire (nell’accezione calcistica del verbo) il violino solista di Alogna, il Quartetto Eos si distingue per precisione, aderenza stilistica e per una compartecipazione alle intenzioni dell’autore più evidente e definita rispetto a quella percepita nel precedente quartetto di Haydn: nel Concerto di Chausson il Quartetto Eos ha il merito di aver saputo creare l’atmosfera sonora ed espressiva più appropriata a ciascun movimento.
Ma “regista” e “capitano” ("Ancora con ‘sto calcio!" qualcuno obietterà) dell’esecuzione è Enrico Pace, magnifico pianista dal tocco cesellato, letteralmente quasi capace, con i suoi colori, le screziature delle dinamiche, la levigatezza e l’incisività del fraseggio, di trasformare la composizione cameristica in un concerto per violino e orchestra!
La classe e l’esperienza di un artista che ben conosce la sottile arte di coadiuvare solisti di fama internazionale (tra i vari, è partner musicale, in concerti e incisioni discografiche, di Leōnidas Kavakos, uno dei più grandi violinisti viventi) ha dato luce a un’esecuzione corretta sicuramente, ma non incantevole quanto l’intrinseca bellezza della composizione avrebbe meritato.
Successo convinto da parte del pubblico raccolto nell’accogliente Teatro Sannazaro di Napoli per tutti gli interpreti dell’interessante serata musicale.
Gli artisti concedono un bis, scovato nella non ampia letteratura per l’insolito organico.
Ma cercando si trova sempre qualcosa: viene eseguito con eleganza mozartiana l’Adagio dal Concerto per violino, pianoforte e archi in re minore MWV O4 di Felix Mendelssohn, composto nel 1823 e influenzato (ed è dir poco!) dalla cantabilità, bellezza e semplicità dell’eloquio melodico mozartiano, ma che in nuce già lascia intravedere la spontaneità e la serenità del melodizzare di Mendelssohn.