Concerti della memoria

di Giuseppe Guggino

A ridosso della Giornata della memoria l’Associazione Amici della Musica di Palermo ripercorre la storia di Władysław Szpilman con una sapiente alchimia fra il racconto di Stefano Valanzuolo e le pagine pianistiche eseguite da Francesco Nicolosi. Nella stessa settimana il Teatro Massimo di Palermo propone un programma interamente mahleriano con Wiebke Lehmkuhl impegnata nei Kindertotenlieder e l’esuberante bacchetta di Marc Albrecht.

Palermo, 24 e 29 gennaio 2023 - Da ormai quasi un ventennio l’anniversario dell’ingresso delle truppe dell’Armata Rossa nel campo di concentramento di Auschwitz nel 1945 è appuntamento con la memoria dell’olocausto, nonché occasione per le istituzioni musicali di programmare quell’entartete musik, cancellata per oltre un quindicennio dalla storia ad opera del Terzo Reich che ne riteneva degenerata la radicalità di concezione o semplicemente la paternità da parte di compositori di origine ebraica. [leggi anche: Giorno della Memoria: il Reich e l'arte "degenerata"]

È con buona dose di originalità che gli Amici della Musica di Palermo onorano l’appuntamento con la memoria (con qualche giorno di anticipo rispetto al 27 gennaio) accogliendo nel turno serale un riuscito connubio fra racconto e musica, incentrato sulla vita di Władysław Szpilman, pianista e compositore polacco, ebreo, confinato nel ghetto di Varsavia, poi scampato alla deportazione e sopravvissuto per mano di Wilhelm Hosenfeld, un ufficiale delle SS non insensibile all’umanità dell’arte, fra gli orrori del secondo conflitto mondiale. I testi e il racconto pacato di Stefano Valanzuolo – che sa farsi via via più febbrile alla bisogna – ripercorrono l’incredibile parabola biografica narrata dallo stesso Szpilman in un libro edito subito dopo la fine della guerra e relegato all’oblio fino a che la circolazione di una ristampa ispirasse il celeberrimo film di Roman Polański, premiato con la Palma d'oro a Cannes nel 2002. È il bombardamento di Varsavia del settembre 1939 che sorprende Szpilman ad eseguire una Ballata di Chopin alla Radio polacca e ne interrompe il percorso artistico fino al ’45. Fino ad allora suonerà per intrattenere gli avventori del Café del ghetto di Varsavia e, poi, per l’ufficiale Hosenfeld. Non a caso è l’unica pagina pianistica che si interrompe fra le mani di Nicolosi e su cui si sovrappone la voce di Valanzuolo in un ben calibrato copione che interpola alcune fra le pagine più note e lunari della letteratura pianistica, dal Clair de lune di Debussy, o dal Rachmaninov del Prélude op. 32 n. 10 fino al Prélude n. 4 e al Nocturne in do diesis minore di Chopin. Alla giusta sensibilità assicurata a tali pagine, Francesco Nicolosi coniuga l’impeto necessario alle più impegnative Variazioni sul tema “La ci darem la mano” e al Liebestod dal Tristano nella trascrizione di Liszt, non sottraendosi neanche alla curiosità di una piccola Mazurka dello stesso Szpilman. Il tandem narratore/pianista è accolto con consensi convinti che innescano la concessione come bis di Salut d’amour di Edward Elgar.

Qualche giorno dopo è l’Orchestra del Teatro Massimo ad essere impegnata in un programma interamente mahleriano concepito affiancando due pagine sostanzialmente contemporanee quali i cinque Kindertotenlieder sui versi di Friedrich Rückert e la prima delle tre cosiddette Rückertsinfonien, ossia la Sinfonia n. 5. Il mezzosoprano Wiebke Lehmkuhl si rivela sin da subito specialista in queste pagine liederistiche, che affronta con emissione salda e ben calibrata, scevra da ogni effetto caricaturale che In diesem Wetter talvolta, purtroppo, rischia di sollecitare. Marc Albrecht la accompagna con grande attenzione, sostenuto anche da una compagine orchestrale apparsa in buona forma, tanto nei soli che nell’insieme. Viceversa l’imponenza delle tre parti in cui si articola la Sinfonia n. 5 lo vedono eccedere in esuberanza, sovente con eccessiva mutevolezza agogica, in una lettura che pare puntare troppo sbrigativamente al Rondò conclusivo. Al di là delle scelte interpretative, l’Orchestra del Teatro Massimo risponde con buona precisione e con generosità, allorquando Albrecht sembra domandare più suono, sicché l’esito conclusivo trionfale è garantito.