Intorno a Skrjabin

di Mario Tedeschi Turco

Mariangela Vacatello propone al Ristori di Verona un programma dedicato a Skrjabin con opportuni accostamenti a Chopin e Liszt.

VERONA, 6 marzo 2023 - Un programma dedicato a Skrjabin, con due deviazioni Chopin-Liszt: con le Sonate 2, 3, 9 e 10 Mariangela Vacatello porta al Teatro Ristori di Verona, per la stagione degli Amici della Musica, un intenso recital sostanzialmente monografico, cui la Ballata n. 3 di Chopin e le Harmonies du soir di Liszt rilevano, della musica del compositore russo, possibili ascendenze generative quanto a ricerca timbrica, libertà armonica, gesto espressivo. O per meglio dire: nella prima parte del concerto, la Seconda e la Terza intervallate da Chopin hanno mostrato come, già negli anni 1897 e 1898, lo stile di Skrjabin si fosse allontanato dalle forme aforistiche del polacco e dalla sue reinvenzioni del canto accompagnato/raddoppiato, condividendo di fatto solo certa tensione all’alternanza enarmonica quale potenziamento della modulazione. Nel disegno complessivo di Vacatello, dunque, l’interpretazione chopiniana è stata pensata e resa in modo compatto, nervoso, a ricercare la struttura senza cedimenti al sentimentale e tanto meno al languore. Un taglio personale, non sapremmo dire quanto appropriato in termini assoluti, ma certo funzionale allo sbalzo comparativo con le due Sonate di Skrjabin. Latitava forse la cantabilità, il “sogno sovrumano somigliante a uno specchio”, per riprendere un’immagine di Yeats, che alla poesia ha preferito il concetto, in un’esecuzione fredda, molto intellettuale, per dir così. In maniera non dissimile ci è parso risuonare il Liszt degli Studi trascendentali – nella seconda parte della serata a separare l’esecuzione di Nona e Decima –reso con un flou avvolgente, i rintocchi di campana profondi, come a provenire da spazi siderali, ma ancora con la mente rivolta al senso costruttivo circolare del brano, restituito con nitore ma gesto controllatissimo, forse troppo. Presi da soli e così eseguiti, questi classici del pianismo romantico non avrebbero lasciato il segno, ma inseriti nel contesto ideato dalla pianista hanno funzionato in maniera egregia allo scopo di potenziare i connotati espressivi oltreumani specie delle ultime sonate. Prendiamo la Nona: con un virtuosismo superiore, Vacatello ha dato rilievo alla sequenza delle cinque idee tematiche che innervano il brano, presentate non solo con evidenza plastica nel decorso orizzontale, ma con una varietà di tocco, e una conseguente tavolozza timbrica, tali da restituire il caleidoscopio di luci, colori, ombre e tenebra ideato dal compositore in modo esemplare, ad un tempo estatico e luciferino. La pianista ha scatenato un autentico uragano, poi, nell’Allegro molto prima della sezione finale, uno di quei passaggi che sfidano gli strumentisti e mandano in deliquio il pubblico, se ogni cosa va per il verso giusto. E così è stato: l’escursione dinamica ampia, il dominio dell’intera estensione dal grave all’acuto totale; la chiarezza delle masse sonore (terze e seste in ripresa dall’inizio, il crescendo epico, la frantumazione del ritmo martellato sugli accordi) fino al precipitare del tempo nel finale, appena prima della breve coda, tutto è stato suonato dalla pianista non solo con destrezza, energia e fuoco, ma con l’approccio critico ideale per rendere di Skrjabin non solo e non tanto il titanismo décadent cui troppo spesso lo si associa, ma un pensiero strutturale organico, del tutto autoconsapevole d’una rivoluzione del linguaggio auspicata e possibile. Allo stesso modo, nell’episodio finale della Decima sonata, Mariangela Vacatello ha reso la scissione melodica pointilliste delle idee di base a un tale grado di precisione digitale che lo spasimo della costruzione che pare volersi dissolvere in pura luce solare è apparsa invece – e ancora: con intuizione critica di grande acume – una prima messa in testo di una revisione dell’idioma pianistico del tutto trasparente, logica, razionale. È il dono di chi usa il virtuosismo non come assoluto, ma come ponte per arrivare al cuore della forma simbolica: così, per evocare l’Uomo-Dio del programma del Presto con fuoco della Terza Sonata, non servono pose gladiatorie ma l’impostazione tecnica perfetta che ti permetta la larghezza degli arpeggi alla mano sinistra; così, la sovrapposizione dei piani sonori nell’Andante della Seconda sonata necessita di controllo chirurgico per far udire, di tra le successioni arpeggiate, l’eco quasi-liturgico della voce interna. Tutte cose (con molte altre) che Mariangela Vacatello ha offerto al pubblico veronese, trovando la varietà, i colori, i pesi e i volumi di una musica difficilissima, in cui è il pieno possesso della tecnica trascendentale (che è figura per sé di spirito, di metafisica) che foggia al tempo stesso il senso architettonico e il contento emozionale dell’estrema stagione del romanticismo europeo.