La ronda degli archetti

di Roberta Pedrotti

Il Bazzini Consort diretto da Aram Khacheh celebra l'anniversario della nascita del compositore da cui prende il nome con un concerto che vede Gennaro Cardaropoli confermarsi solista di eccellente caratura artistica e grande maturità.

BRESCIA, 11 marzo 2023 - Antonio Bazzini è ricordato dai violinisti come virtuoso, docente e teorico fra i più eminenti della generazione successiva a Paganini (che ebbe per lui parole di elogio e incoraggiamento), autore di quella Ronde des Lutins che piace spesso come bis. È ricordato pure per essere stato docente e direttore del conservatorio di Milano e per aver avuto fra i suoi allievi Puccini, cosa che rende ancor più curioso il fatto che abbia scritto un'unica opera, Turanda.

Sembra, insomma, destinato a restare confinato nell'interesse specialistico o nell'aneddoto. E sarebbe un peccato non approfondire anche questo tassello della cultura musicale ottocentesca, chiamato anche da Verdi a contribuire alla Messa per Rossini (suo il Dies Irae): nacque a Brescia l'11 marzo 1818 e duecento anni dopo nella sua città debuttava il Bazzini Consort, associazione giovane dall'organico mutevole come il repertorio, dai piccoli gruppi da camera all'orchestra sinfonica. Da allora, fra molte altre iniziative, non può mancare la celebrazione dell'anniversario della nascita, appuntamento ancor più significativo in questo 2023 in cui Brescia è, con Bergamo, Capitale italiana della Cultura.

La Chiesa del Carmine – una delle più belle della città, nel cuore di un quartiere storico, affascinante e travagliato – si riempie abbastanza rapidamente e, sebbene l'ingresso sia gratuito, la cosa non è scontata, dato che l'annuncio del concerto è stato dato con poco anticipo, molti confessano di averlo saputo il giorno stesso, altri appassionati si mangiano le mani per esserselo perso. Se siamo comunque in tanti è perché i bresciani amano la musica (e la musica fatta bene, basta fare due chiacchiere in coda commentando l'ultima stagione lirica o il cartellone del prossimo festival pianistico), perché il Bazzini Consort ha saputo seminare nel modo giusto, perché, soprattutto, il programma è davvero allettante.

Torna a Brescia Gennaro Cardaropoli, che qui aveva debuttato nel 2017, non ancora ventenne, in una serata in memoria della strage di Piazza Loggia (dirigeva Alessandro Bonato, appena ventiduenne), e poi era tornato anche con il Bazzini per il Concerto in mi minore di Mendelssohn. E Mendelssohn, fra gli estimatori del compositore bresciano, è protagonista pure quest'anno, questa volta con il giovanile e meno eseguito Concerto in re minore, pagina forse meno matura e perfetta del fratello più celebre, ma di grande fascino per l'articolazione melodica e per i chiaroscuri nel tessuto orchestrale, che mettono in discussione lo stereotipo del precoce Felix come olimpico fanciullo dedito a luminose féerie.

Qui, Cardaropoli si riconferma uno degli artisti più maturi e interessanti della sua generazione, con un fraseggio poetico d'alta scuola e ispirazione, che nulla trascura nella dinamica e nel colore, con una cavata penetrante anche quando il suono si assottiglia, o si condensa in un trillo nitido e pieno. Certo, il virtuosismo può essere quello che abbaglia, e di certo non manca (basti pensare alla nonchalance accattivante con cui dipana il rondò dell'Allegro finale), ma è sempre la musicalità a dominare sul gioco pirotecnico ed è l'Andante a sedurre per la classe, il legato, l'arte, insomma, del grande interprete. La tornitura sapiente di questo Mendelssohn si ripresenta in nuova forma con la trascrizione per violino e archi della Ronde des Lutins di Bazzini (in originale per violino e pianoforte), in cui il moto indiavolato non cede mai il passo a un abile gioco d'archetto in cui i passaggi al ponticello, le posizioni e le dinamiche trascolorano rapidamente dal sulfureo al giocoso, dal lieve al sinistro, sicché sull'esibizione tecnica prevale ancora una volta un'idea di musica come dialettica, narrazione, poesia e pensiero. Arte e non narcisismo, come ribadiscono i due bis, un Capriccio dello stesso Cardaropoli e le variazioni di Paganini a Nel cor più non mi sento. Quest'ultimo è un fuori programma abituale per il solista e non torneremmo a scriverne (ne abbiamo parlato qui e qui) se non fosse che l'accostamento con il Capriccio, pure basato su un tema preesistente (dal concerto in Mi minore di Mendelssohn, di cui ricordiamo una notevolissima esecuzione a Fabriano), ci riconduce a un'elaborazione che non è solo sfoggio di spericolate virtù tecniche, ma soprattutto un'espressione estetica in cui le possibilità dello strumento sono funzionali all'analisi del tema e alla sua metamorfosi.

Senza soluzione di continuità, il programma prosegue con la sola orchestra e il suo direttore Aram Khacheh (coetaneo di Cardaropoli) sempre nel segno di Mendelssohn, con una sinfonia Italiana che sconta magari un'acustica tendente ad appiattire le dinamiche, ma di certo soddisfa per precisione e qualità del suono, oltre per il coinvolgente senso di partecipazione di tutti i musicisti. Anche qui abbiamo un bel fuori programma, che rende giustamente omaggio a un altro importante compositore bresciano, Giancarlo Facchinetti (1936-2017). Le sue Danze cecoslovacche sono affrontate con un controllo e uno slancio entusiasta che ne evidenzia una vitalità assertiva ben radicata sulla scia di Bartók o di certo neoclassicismo, senza, tuttavia, che l'autore se ne faccia epigono passivo. Anzi, in questi pochi minuti di musica, il Bazzini Consort fa risuonare proprio l'impeto di un energico rinnovamento accolto con sano e giustificato calore da parte del pubblico.