Soirée Sokolov

di Alberto Ponti

Successo indiscusso per l’appuntamento con il grande pianista russo all’interno della stagione dei Concerti del Lingotto. Bach, Mozart e ben sei bis che abbracciano due secoli di musica

TORINO, 8 novembre 2023 - Il ritorno di Grigory Sokolov sei anni dopo l’ultima apparizione sotto la Mole per la stagione dei Concerti del Lingotto avviene in una fredda serata autunnale, dove alla temperatura esterna fa da contraltare il calore dell’accoglienza di un auditorium Giovanni Agnelli gremito in ogni ordine dei quasi duemila posti disponibili. Dopo Martha Argerich presente un paio di settimane fa alla Rai, a Torino fa quindi tappa uno dei giganti del pianoforte di una generazione abbastanza irripetibile che sta cominciando poco per volta ad assottigliarsi. Perché se è vero che tra i pianisti più giovani esistono virtuosi di primo livello, è altrettanto vero che all’orizzonte è difficile intravedere un erede spirituale del grande strumentista russo, depositario di uno stile unico e inimitabile in grado di conferire un’impronta personale a ciascun pezzo di un amplissimo repertorio.

Il programma del concerto è quanto di più classico si possa immaginare: prima parte dedicata per intero a Bach, seconda a Mozart. Nessun titolo che evoca fuochi di artificio alla tastiera. Eppure, già l’attacco del primo dei quattro Duetti BWV 802-805 conduce ad altezze vertiginose e inaspettate. La precisione e la pulizia del tocco, la chiarezza della frase all’interno della ramificata struttura contrappuntistica, la freschezza assoluta del fraseggio conferiscono una vitalità immediata e travolgente a pagine che, sotto dita meno sapienti, rischierebbero di passare per rigido esercizio di scuola. La scioltezza di esecuzione e di tocco è sbalorditiva, ma ogni nota è viva, portatrice di valori musicali. Sokolov unisce il rispetto del dettato bachiano, mai così sfaccettato e dettagliato sotto la superficie all’apparenza innocua di questi quattro piccoli brani pubblicati come terza parte della Clavier-Übung, con un’imprevedibilità quasi improvvisativa che dà l’impressione che essi nascano sul momento. Genialità di compositore e interprete si incontrano in un’attualità senza tempo. In modo analogo, la Partita n. 2 in do minore BWV 826 palesa tratti inaspettati di timbro e colore fin dalla toccatistica Sinfonia col passaggio dal movimento lento a quello veloce sostenuto da un crescendo emozionale ed espressivo per nulla trattenuto dalla complessità della forma. Una naturale spontaneità del discorso, appena sostenuto da impercettibili colpi di pedale, emerge dalla successiva Allemande e dall’energico 3/2 della Courante per tramutarsi in pura gioia contemplativa nell’incantata e lunare Sarabande che, sotto le dita di Sokolov, diventa estatica pioggia di gocce di luce. L’altissimo magistero tecnico del labor bachiano, l’inesauribile gioco dei rimandi del Rondeau e del vivace Capriccio finale trovano un esecutore che, dosando con esattezza virtuosistica le sfumature dinamiche, ne restituisce al pubblico odierno la natura di modernità visionaria.

La Sonata n. 13 in si bemolle maggiore K333 di Wolfgang Amadeus Mozart si mantiene in equilibrio tra amabilità intimista e gestualità concertistica, con la sua articolata cadenza prima della conclusione del rondò Allegretto grazioso. L’esecuzione di Sokolov è piacevolmente mossa, con la ripetizione di tutti i ritornelli che, la seconda volta, presentano minime ma significative variazioni di accento e di affondo rispetto alla prima. Siamo in presenza di uno tra i massimi dispensatori di bellezza del nostro tempo: il tema di apertura del primo Allegro discende, nonostante il moto energico impresso alla figurazione della quartina, come una soffice carezza sugli arpeggi a mezza voce del basso, ma già in chiusura dell’esposizione le crome alternate staccate e legate alla mano destra hanno la frizzante euforia di una felicità passeggera ma assoluta. Verranno infatti le ombre dell’Andante cantabile centrale, venato di inquietudini cromatiche, e soprattutto dell’Adagio in si minore K 540, proposto in chiusura, pagina proiettata in avanti che lascia intravedere tra le pieghe sprazzi di un Mozart già preromantico, proiettato sul secolo che non vedrà, da annoverarsi con una punta di struggente rimpianto, per dirla con il poeta, tra le ‘cose che potevano essere e non sono state’. Il pianista ne dà una lettura drammatica e metafisica insieme: una coltre di profonda e misteriosa tensione anima il pezzo da capo a fondo senza tuttavia riuscire a scalfire l’ipnotico fascino che emana dalle frasi sospese e risolte dopo pause quasi bruckneriane, dalle note ribattute alla mano sinistra sotto l’espandersi del motivo principale, staccate una ad una con grazia delicata ma infallibile nell’evocare una dolente nostalgia, destinata a tramutarsi in un messaggio di speranza ultraterrena nel tono maggiore delle ultime battute.

Applausi trionfali durati quasi mezz’ora e inframezzati da ben sei bis, secondo la tradizione delle ‘soirées Sokolov’, che mettono in luce una volta di più la versatilità e le straordinarie capacità di questo interprete di calamitare l’attenzione verso qualsiasi stile compositivo: Rameau (Les Sauvages e Le Tambourin), Chopin (Preludi in re bemolle maggiore op. 28 n. 15 e in do minore op. 28 n. 20; mazurka in fa minore op. 63 n. 2) e Rachmaninov (Preludio in si bemolle maggiore op. 23 n. 2).